Processo Miteni. Emerge il Quinto Fattore capovolto: la «causa diretta sociale» di mortalità

Al Tribunale di Vicenza, come sappiamo bene, si sta svolgendo il processo ai 15 manager della Miteni (che sta per Mitsubishi – Enichem): l’accusa, articolata su vari capi, è di avvelenamento delle acque, di grave contaminazione della popolazione, di bancarotta. Si prefigura un reato simile a una strage “sociale” continuata e senziente, scientifica, ad opera di chi era consapevole e cosciente del proprio operato, visto che i PFAS vanno a minare la salute integrale e biologica di adulti e bambini.

Sarebbe un risultato storico se si arrivasse a una sentenza di questo tipo, portandosi appresso implicazioni politiche pesanti, senza contare le ripercussioni sull’intero comparto chimico, in particolare la lavorazione delle concerie, altra bomba ad orologeria che grava sul fiume Fratta-Gorzone, a tal punto che ne è vietata la pesca e il prelievo. Ma c’è un vuoto siderale in aula che potrebbe compromettere le migliori aspettative, ovvero l’assenza di uno studio epidemiologico serio – istruito dall’ISS, ma disatteso dalla Regione Veneto – il quale dimostrerebbe la “correlazione stretta”, non solo la diffusione, delle patologie strettamente legate alla presenza dei Pfas nel sangue e nei tessuti biologici. Le malattie riscontrate partono dall’infecondità e dai disturbi neotali, per arrivare a diabete, malattie degenerative, tumori.

Gli avversari di questa profilassi di massa sembrano essersi nascosti tra le istituzioni di vigilanza sanitaria che in diversi modi e tempi hanno taciuto, pur sapendo dello stato delle cose. Mentivano sapendo di mentire e nulla potrà giustificare loro, né paure, né ricatti, né intimidazioni, tanto meno bonus e qualifiche alla carriera. Questo sembra il metodo e le logiche messe in opera all’interno della Regione Veneto

I nemici invece sono per noi i “complici”, coloro che hanno favorito politicamente la continuità negli anni di quest’opera devastatrice compiuta dalla Miteni. Per non parlare di coloro che hanno messo in campo divieti e strategie devianti, sottili manovre per sviare l’attenzione dal focus sanitario. 

I primi – i divieti – sono di una gravità inaudita perché impediscono a tutti i cittadini veneti non residenti nella zona rossa di ottenere quegli esami che permetterebbero di conoscere la presenza o meno di PFAS nel sangue.
Qui potete leggere un approfondimento del dottor Giovanni Fazio

Mentre le seconde – le strategie devianti – si presentano come sovradeterminazione scientifica, costruita allo scopo di depotenziare o addirittura sminuire il valore del piano epidemiologico alludendo al “nesso di causalità” diminuito, slittato verso un “quinto fattore” opaco e difficile da intendere: il Veneto è la prima regione in Europa ad aver inserito nel codice comportamentale sanitario il 5° fattore di rischio in quanto comportamento del singolo non virtuoso! Le sostanze perfluoroalchiliche: i PFAS! Tuttavia in modo subdolo.

Vuol dire, in altre parole, che “solo” se la persona ha uno stile di vita insufficiente, questo stile scatenerà la virulenza patologica degli “interferenti chimici” nel sistema endocrino, conosciuti come Pfas. Sei in sovrappeso e dormi poco? Fumi e bevi? Allora non ti lamentare se ti ammali, perché l’esposizione ai Pfas è il quinto fattore di rischio che potrà scatenare dentro di te una serie indefinita di disfunzioni e patologie. Se invece hai un buono stile, consigliato dalla Regione, puoi farti introiettare tutti i Pfas che vuoi. Perché i Pfas sono, sempre secondo la Regione, una “fattore dipendendente” e trascurabile. Certo, un quinto, ma niente di più.

Per fortuna ci viene incontro questo scritto di PFAS.land per far capire invece la potenzialità capovolta di questo Fattore Quinto. Uno scritto operativo emerso nel cuore del Processo, pochi giorni fa, redatto dal coordinatore di PFAS.land, organo di informazione del Movimento No Pfas. Intervento che ha già suscitato ampio dibattito e che sta cambiando la faccia del processo.


Capovolgendo l’assunto al ribasso del termine “fattore”, rispetto alla “causa”, si cambia la prospettiva di approccio sanitario, legislativo, politico, senza più eludere il “carattere sociale”, allargato e diffuso, di questo nuovo Fattore, tentativo di elusione al ribasso fatto strumentalmente in favore di un assioma che vede l’individuo al centro della questione giuridica (il classico “nesso di casualità”), trascurando invece la portata sociale di ogni inquinamento o disastro ambientale/ecologico. Ragionando in termini sociali e non individuali cambia la portata del crimine. Capire e acquisire questo argomento potrebbe essere un passaggio storico per le possibili conseguenze giurisprudenziali.

Il Fattore Quinto diventa infatti una “causa latente diretta” – una correlazione stretta – di morte sociale. Diventa la CAUSA DIRETTA SOCIALE di mortalità e patologia. Senza ombra di dubbio. Statisticamente provata. Certificata dagli studi epidemiologici già in possesso dalla sanità pubblica regionale. Che ha visto crescere nella popolazione, contaminata da PFAS, morti e patologie. Anche durante il Covid. Punto, a capo.

Il processo alla Miteni, va ricordato, fu salutato da tutta la rete dei comitati veneti, come un primo momento di successo grazie alle iniziative di lotta contro la fabbrica di morte. Nessuno però si illuse che la Procura vicentina “potesse aggiustare le cose”. Troppi interessi, “troppi” soggetti coinvolti nelle indagini dei NOE, taluni addirittura nella doppia veste di accusato e accusatore. Senza contare il carattere mondiale che possiede questo processo, sospeso in bilico tra le due “parti politiche” in causa: la giustizia climatica da una parte, la difesa di un modello produttivo messo sotto accusa per i danni permanenti che causa all’ambiente e al vivente, dall’altra. 

Una difesa – quella della Miteni – che dentro l’aula balbetta, ma fuori è più che mai attiva: oggi i Pfas si chiamano C6O4, sono in continua evoluzione, nelle viscere industriali della Solvay, la sorella maggiore della defunta Miteni, che continua impunemente a contaminare le acque di Spinetta Marengo e gran parte del territorio alessandrino. Tra gli stessi imputati, alcuni sono stati e sono dirigenti delle stesse aziende citate. Senza contare poi che la produzione Miteni è stata “venduta” all’India: un’esportazione del crimine.

Poi c’è la bonifica, se ancora si può chiamare così perché è un grande affare di denari e appalti, gestiti e pilotati dagli stessi che ostacolano la “bonifica profonda” dei territori perché tale operazione vorrebbe dire spesa senza rientro, mentre i profitti di tipo parassitario/mafioso arrivano da quei meccanismi clientelari nei quali, cosa ancor più grave nei casi emergenziali e di salute pubblica, si continua a muso duro a macinare denaro pubblico nel modo più banditesco possibile, vedi ad esempio, il ritrovamento dei Pfas nei cantieri ai bordi del passante del TAV o della SPV, due grandi opere al centro di una disputa tra grandi “consumatori” che si palleggiano le responsabilità.

Lo smaltimento dei rifiuti tossici è l’altra immensa spina nel fianco: costano un botto di soldi ma non si capisce bene come, dove e in che modo vengano lavorati e che fine facciano!

Dopo la Sera, un’altra vicenda paragonabile alla Miteni si sta facendo avanti: la Chemviron di Legnago, dove i Noe sono intervenuti per una verifica sui reflui dei carboni attivi che filtrano l’acqua contaminata da Pfas degli acquedotti veneti e che l’azienda multinazionale in provincia di Verona tratta mediante fanghi ed incenerimento. Senza sapere di fatto se i Pfas residuali dei carboni siano inceneriti per davvero.

In ultima, ma non ultimo, scopriamo che la Regione Veneto avanza una proposta che il solo pensiero fa rabbrividire: diluire l’acqua contaminata nell’acqua pulita!
Pratica invero già in uso presso il Tubone Arica di Cologna Veneta. Un crimine ambientale isituzionalizzato, a cielo aperto.

Questo è il governo della Regione Veneto, che per bocca del suo assessore all’ambiente afferma candidamente che non esiste un piano di prevenzione contro i cambiamenti climatici, così come non esiste uno studio epidemiologico sulle sostanze inquinanti, studio avviato malamente, in forma di semplice “sorveglianza sanitaria”, e solo per certe zone determinate a priori, bloccato tuttavia dal Covid 19! Come lo è stata la bonifica Miteni, oggi bloccata perfino dalla guerra in Ucraina. Perché? La manodopera a basso costo, del male, è tutta straniera. Indiani prima, oggi polacchi e ucraini.

Chi pagherà i costi sociali?