Max Wilbert è un attivista “di terza generazione” cresciuto nel movimento antirazzista e anti-globalizzazione di Seattle. È un membro di lunga data di Deep Green Resistance. È autore di due libri: Bright Green Lies, di prossima pubblicazione, e We Choose to Speak, una raccolta di saggi uscita nel 2018.
Nell’articolo che proponiamo alla vostra riflessione, Wilbert parte dal ricordo di suo nonno, obiettore di coscienza durante la Seconda Guerra Mondiale, e si interroga su quale sia la giusta linea di condotta da tenere di fronte alla devastazione dell’ambiente che il capitalismo sta infliggendo alla Terra. La risposta che si dà, analizzando i fallimenti a cui inevitabilmente hanno portato i tentativi di operare all’interno della legalità, è di «rompere con l’obbedienza al sistema dominante»: non possiamo accontentarci di riformare l’esistente, dobbiamo passare all’offensiva.
Peter Mancini
Le ragioni morali della rivoluzione ecologica
di Max Wilbert
Nel 1941, mentre la Seconda Guerra Mondiale imperversava in metà del pianeta, mio nonno fu arruolato nell’esercito degli Stati Uniti.
Di fronte alla prospettiva di venir mandato oltreoceano a uccidere altri giovani nella Seconda Guerra Mondiale, la sua moralità si ribellò. Si rifiutò di entrare nell’esercito e fece richiesta per venir riconosciuto come obiettore di coscienza, cosa che alla fine gli fu concessa.
La sua non era una posizione popolare. Su 10 milioni di coscritti, circa 43 mila, o meno di metà dell’un percento, divennero obiettori. Lui e altri obiettori furono ampiamente criticati, attaccati e ostracizzati. Quello in cui credevano fu messo alla prova da centri di reclutamento, famiglie e comunità che rigettarono le loro convinzioni e li etichettarono come codardi, disertori e traditori.
Quasi cinquant’anni dopo, sono nato in una famiglia che teneva in alta considerazione l’esempio di mio nonno. Nei miei confronti fu un nonno affettuoso e gentile. Quando ero bambino, non era inusuale che nella mia famiglia di discutesse di guerra, imperialismo, razzismo, sfruttamento delle donne, oppressione, e della distruzione del pianeta. Mi fu insegnato che a queste cose bisognava porre fine. La trasformazione della società era una necessità, e la resistenza nonviolenta era il metodo.
Di fronte alla prospettiva della Seconda Guerra Mondiale, quali scelte avrei fatto al posto di mio nonno? Da un lato, il regime nazista era indicibilmente malvagio, e le azioni del Giappone imperiale erano ugualmente orribili. Dall’altro, le azioni dell’impero statunitense—prima, durante e dopo la guerra—non erano esattamente benevole. Come ha scritto Howard Zinn, prima che scoppiasse la guerra gli Stati Uniti:
“avevano osteggiato la rivoluzione haitiana per ottenere l’indipendenza dalla Francia all’inizio del diciannovesimo secolo. Avevano iniziato una guerra contro il Messico e si erano presi metà del paese. Avevano finto di aiutare Cuba a conquistare la propria indipendenza dalla Spagna, e poi si erano impiantati a Cuba con una base militare, investimenti e il diritto a intervenire militarmente. Si erano impadroniti delle Hawaii, di Puerto Rico, del Guam, ed avevano combattuto una guerra brutale per soggiogare i filippini. Avevano “aperto” il Giappone al proprio commercio con cannoniere e minacce. Avevano dichiarato la Politica della porta aperta in Cina come mezzo per assicurarsi che gli Stati Uniti avrebbero avuto opportunità di sfruttare la Cina uguali a quelle delle altre potenze imperiali. Avevano mandato truppe a Pechino insieme ad altre nazioni per affermare la supremazia occidentale in Cina, e le avevano tenute lì per oltre trent’anni.”
E ovviamente questa è solo una lista parziale. Nel 1942, gli USA erano ancora una società rigorosamente segregata (e rimane tale al giorno d’oggi) votata ad estrarre valore dalle persone di colore usando ogni mezzo necessario. La schiavitù ha costruito la ricchezza degli Stati Uniti, ed ha letteralmente costruito la Casa Bianca. E, ovviamente, l’intera nazione è stata costruita sul genocidio coloniale insediativo—un genocidio che ispirò Hitler per la sua “soluzione finale”.
Molti americani di spicco, come Henry Ford, erano sostenitori del regime nazista. Il governo statunitense non solo aveva mancato di denunciare la persecuzione degli ebrei tedeschi prima della guerra, nonostante prove chiare, ma aveva attivamente respinto quelli che cercavano rifugio condannandoli così a morte.
Gli Stati Uniti non combatterono a causa del fascismo, nonostante singoli soldati possano averlo fatto. La storiografia critica ci dice che gli USA combatterono la Germania, l’Italia e il Giappone primariamente per ragioni geopolitiche: per controllare un loro competitore in Germania, per contenere la Russia comunista, e per espandere il loro controllo sul Pacifico.
Ad esempio, lo storico Gabriel Kolko afferma che “l’obiettivo economico della guerra americana era salvare il capitalismo a casa e all’estero.” L’obiettivo venne raggiunto consolidando il controllo americano sul petrolio in Medio Oriente, ottenendo l’accesso a nuovi mercati precedentemente dominati dai britannici, e tramite una consistente iniezione di fondi pubblici in società private: Boeing, Lockheed e gli altri speculatori di guerra.
E alla fine della guerra gli Stati Uniti uccisero 150 mila civili giapponesi a Hiroshima e Nagasaki, in un bombardamento atomico militarmente non necessario che P.M.S. Blackett ha definito “la prima grande operazione della guerra fredda diplomatica contro la Russia.” In altri termini, 150 mila persone furono assassinate non per necessità militare ma per ragioni di geopolitica.
Sì, i fascisti andavano fermati. Ma quella degli Stati Uniti non era una guerra particolarmente giusta.
Io rispetto la scelta di mio nonno. Soprattutto, sono colpito dalla fermezza morale richiesta per mantenere la sua posizione di principio sopportando serie conseguenze personali e professionali. Non ci sono molte persone con una simile dignità e convinzione.
Ottant’anni dopo l’ascesa del Partito nazista, ci troviamo di fronte alla diffusione del fascismo in tutto il mondo.
Trump, Bolsonaro, Duterte, Erdogan, Putin. Innumerevoli movimenti di base e partiti politici fascisti sono in marcia. La maggiore opposizione sistemica nei loro confronti viene dal capitalismo neoliberista, a sua volta una forma di fascismo morbido e la principale forza che ha decimato il pianeta nel corso degli ultimi 40 anni. Smantellando le istituzioni pubbliche, appoggiando il potere delle multinazionali e il militarismo sfrenato, corrompendo il linguaggio della giustizia e accrescendo lo sfruttamento dei poveri e del terzo mondo, neoliberisti come Barack Obama e i Clinton hanno aiutato a spianare la strada all’attuale ascesa del fascismo dichiarato.
Il capitalismo stesso è una guerra contro il pianeta e i poveri. L’economia globale è costruita su contadini sfruttati, manodopera sottopagata e un’industria elettronica tossica che spinge i lavoratori al suicidio in massa. Tutto questo avviene sopra a terre rubate agli indigeni e ad un retaggio di genocidio tuttora in corso. I beni materiali che trainano la crescita globale sono fatti a partire dai corpi morti della terra. Le montagne vengono scavate e fatte esplodere. I fiumi sono imbrigliati dalle dighe e resi schiavi. Le praterie vengono arate. Le foreste vengono scotennate. La vita negli oceani è ridotta allo stremo. La biodiversità sta collassando, gli oceani stanno collassando, e il riscaldamento globale sta avanzando più velocemente che nelle previsioni più pessimistiche. Le emissioni di gas serra sono più alte anno dopo anno, nonostante astute campagne di marketing che parlano di industria verde.
La mentalità dello sfruttamento e dell’avidità si rispecchia nella cultura dominante. La violenza sessuale è endemica. Le persone di colore sono private di diritti e lavorano come schiavi all’interno del sistema carcerario, poi vengono giustiziate su base regolare per strada in una moderna forma di pubblico linciaggio. I poveri, i senza tetto, i tossicodipendenti e innumerevoli altre persone sono trattati come sacrificabili in questa società e muoiono a milioni mentre individui come Jeff Bezos si godono una crociera nel loro ultimo yacht da 100 milioni di dollari.
Ora dobbiamo confrontarci con la stessa domanda con cui si sono confrontati i nostri nonni.
Quale linea di condotta è moralmente giusta in questo mondo?
Prima di poter sapere quale sia la giusta linea di condotta, dobbiamo comprendere la radice dei problemi che ci si pongono davanti. Questa fase del processo diagnostico è essenziale per una cura adeguata. E infatti l’origine del termine radicale viene dalla parola latina che significa “radice”.
Troppe persone nella società odierna guardano soltanto alle cause superficiali. Noi dobbiamo andare più in profondità.
Innanzitutto, dobbiamo comprendere che i problemi che affrontiamo non sono un incidente o il risultato di un malfunzionamento del sistema. Questo è il il normale funzionamento della civiltà industriale. Questa è ordinaria amministrazione. L’economia è in espansione e i ricchi se la passano benissimo. Le cose funzionano perfettamente.
Per i potenti, sono bei tempi
Che il capitalismo sia una guerra contro il pianeta e i poveri non è una metafora. Il sistema economico dominante sta uccidendo, mutilando e distruggendo le vite di innumerevoli miliardi di umani e trilioni di non umani.
Come una volta ha detto il terzo uomo più ricco del mondo, Warren Buffet, “c’è senz’altro una guerra di classe, ma è la mia classe, quella dei ricchi, che sta conducendo la guerra, e stiamo vincendo.”
Questa è una guerra, ed è a senso unico.
I lavoratori, i poveri e in particolar modo gli ambientalisti spesso non concepiscono questo sistema come una forma di guerra contro di noi. Una propaganda incessante, che ci viene somministrata dai media e dal sistema scolastico, ci insegna che viviamo in una società splendida e giusta. Tutti i problemi che affrontiamo—migrazioni, disastri climatici, terrorismo, abuso sessuale—vengono esteriorizzati. Anziché fattori integranti dell’esperienza americana, sono considerati come il problema di qualcun altro, oppure del tutto ignorati.
La propaganda, oltre a inculcare l’eccezionalismo americano e l’etica capitalista, impone anche una rigida rosa di modi considerati accettabili per cambiare il mondo. Le lotte sociali, ci viene detto, dovrebbero attuarsi tramite cambiamenti legislativi, nell’urna, e negli uffici degli enti no profit.
Ma questi modelli non stanno funzionando
Il cambiamento legislativo, ad esempio, di rado è permanente. Politiche di lunga data come il Voting Rights Act possono facilmente venir spazzate via o indebolite. Sta succedendo proprio ora. Il Voting Rights Act, il Clean Water Act, l’Endangered Species Act—tutte queste leggi, che già sono limitate in partenza, stanno venendo svuotate.
Gestire l’impero è un lavoro saldamente bipartisan. Negli Stati Uniti, il partito Democratico e quello Repubblicano mettono in scena il numero del “poliziotto buono/poliziotto cattivo” su scala sociale. Ci ingannano facendoci credere di vivere in una democrazia. Permettono un robusto dibattito all’interno di una gamma estremamente ristretta di politiche accettabili, e in questo modo distraggono le persone dal furto e dalla violenza della classe dominante.
La verità è che abbiamo poca o nessuna voce in capitolo su come operano le nostre comunità, men che meno su come viene governata il paese.
Limitati dalla privazione del diritto di voto dei pregiudicati, dal gerrymandering, dal funzionamento del collegio elettorale, dalla costante propaganda e da un sistema rappresentativo senza alcun obbligo di rendere conto del proprio operato, i nostri voti sono in larga misura privi di significato.
Il concetto di autogoverno ci è così alieno che ci risulta difficile perfino immaginarlo. Quando è stata l’ultima volta che hai preso una decisione significativa in merito al futuro politico, economico e sociale del tuo quartiere, della tua città, dello stato o del paese in cui vivi?
Per molti di noi, la risposta è “mai”.
Chiamare gli Stati Uniti una democrazia è ridicolo. Gli studiosi hanno dimostrato che la nostra società è un’oligarchia. I professori Martin Gilens e Benjamin Page hanno concluso, nel loro studio del 2014, che “le élite economiche e i gruppi organizzati che rappresentano gli interessi delle imprese hanno sostanziali impatti indipendenti sulle politiche del governo USA, mentre i cittadini comuni e i gruppi che rappresentano interessi di massa hanno scarsa o nessuna influenza indipendente.”
Questo si riflette nel capitale della nazione. È da decenni che il Congresso non passa un disegno di legge importante che non avvantaggi gli ultra-ricchi e le multinazionali. Ogni principale decisione di politica nazionale è pensata per rubare ancor più ai poveri, per distruggere il pianeta ancor più velocemente, e per rendere nel frattempo la classe proprietaria ancor più decadentemente ricca.
Il complesso industriale no profit
Di fronte a un sistema politico in sfacelo, dove si volgono le persone? Molte si rivolgono agli enti no profit, aspettandosi di trovare un mondo di piccoli e appassionati gruppi organizzati che lottano per il cambiamento della società. Quello che trovano, invece, è un nuovo incubo fatto di burocrazia, settimane lavorative di 60 ore e salari da fame.
Il sistema no profit deriva da un’ideologia liberale che considera virtuoso il capitalismo di stampo americano. Secondo questa visione del mondo, tutto quello di cui il sistema ha bisogno per continuare ad andare felicemente avanti sono piccole riforme graduali.
Molte delle più grandi fondazioni odierne furono create all’inizio del 20° secolo da ultra-ricchi che evitavano così di pagare le tasse. Sono state investimenti redditizi: le fondazioni liberali sono a lungo servite per pacificare i movimenti sociali ed impedire un cambiamento radicale.
Uno dei maggiori esempi di ciò è la professionalizzazione della resistenza nera negli anni settanta e ottanta. In seguito ai moti rivoluzionari della società degli anni sessanta, le fondazioni investirono miliardi di dollari per creare innumerevoli nuovi enti no profit e organizzazioni di servizi sociali. McGeorge Bundy, falco della guerra in Vietnam e capo della Ford Foundation, guidò una campagna nazionale volta ad affrontare la questione del razzismo. Ma dietro alla retorica non c’era il desiderio di affrontare le cause profonde del razzismo, bensì quello di pacificare ed assimilare i movimenti di opposizione del Potere nero nell’apparato di potere dominante.
I movimenti politici no profit odierni riflettono gli stessi valori: liberalismo elitario, affermazione individuale, apparenza della diversità. E producono gli stessi risultati: continue campagne elettorali per candidati progressisti, innumerevoli campagne di finanziamento, burnout.
Ciò che è assente è un programma rivoluzionario per la liberazione collettiva dai sistemi di oppressione.
La dissidente indiana Arundhati Roy, una delle più brillanti scrittrici del nostro tempo, ha prodotto una critica sferzante del sistema no profit. Ha scritto:
“Fondazioni finanziate dalle multinazionali amministrano, smerciano e incanalano il loro potere mettendo i loro pezzi sulla scacchiera attraverso un sistema di club elitari e centri di studio i cui membri si sovrappongono e passano dall’uno all’altro tramite porte girevoli.
Contrariamente a quanto sostengono le varie teorie del complotto in circolazione, particolarmente quelle che girano nei gruppi di sinistra, non c’è nulla di segreto, satanico o massonico in questa sistemazione. Non è molta diversa dal modo in cui le multinazionali utilizzano società di facciata e conti offshore per trasferire ed amministrare i loro soldi—con la sola differenza che in questo caso la valuta è il potere, non i soldi.
Ci sono attualmente milioni di organizzazioni no profit, molte delle quali collegate attraverso tortuosi labirinti finanziari alle maggiori fondazioni… La Privatizzazione di Ogni Cosa ha anche significato la Trasformazione in ONG di Ogni Cosa. Mentre lavori e mezzi di reddito scomparivano, le ONG sono diventati un’importante fonte di lavoro, anche per coloro che le vedono per quello che sono. E chiaramente non tutte sono malvagie. Delle milioni di ONG che esistono, alcune portano avanti un lavoro radicale notevole e sarebbe un travisamento della realtà fare di tutta l’erba un fascio.
Tuttavia, le ONG finanziate dalle multinazionali o dalle fondazioni sono il modo in cui la finanza globale compra i movimenti di resistenza, esattamente come gli azionisti comprano le azioni di una compagnia, e poi prova a controllarli dall’interno. Se ne stanno come snodi nel sistema nervoso centrale, percorsi lungo cui fluisce la finanza globale. Funzionano come trasmettitori, recettori, ammortizzatori, attenti ad ogni impulso, attenti a non infastidire mai i governi dei paesi che le ospitano.”
Greenwashing del movimento ambientalista
Uno dei più schiaccianti esempi del fallimento del sistema no profit viene dalle grandi organizzazioni ambientaliste. Dal Sierra Club che prende 25 milioni di dollari dall’industria del fracking a Greenpeace che coopera con l’industria canadese del legname alla collaborazione di Nature Conservancy con le più inquinanti multinazionali del mondo, gli enti ambientalisti no profit hanno una tradizione di atrocità, compromessi e fallimenti.
Sotto la loro supervisione, tutto va peggiorando. E le loro soluzioni? Vota democratico, cambia le lampadine, muoviti in bicicletta. Patetico.
Al giorno d’oggi, il complesso industriale globale no profit serve da “valvola di sfogo” per nascenti sentimenti rivoluzionari. Reindirizzando energie che dovrebbero esigere cambiamenti sostanziali verso un riformismo frammentario, organizzazioni come queste sono peggio che distrazioni. Sono per certi versi complici del sistema che sta uccidendo il pianeta. Invece di un mutamento radicale, questi gruppi fanno campagne per riforme relativamente minori, come la transizione dai combustibili fossili all’energia verde. Queste iniziative vengono lodate da multinazionali come la General Electric, che prevedono di fare miliardi coi contratti che i governi assicurano loro in questa cosiddetta “transizione verde”.
Nel frattempo, le foreste continuano a ridursi, le montagne continuano a venir scavate, e le emissioni di gas serra salgono.
Anche in paesi come la Germania, patria del presunto “miracolo verde” dell’energia eolica e solare, le emissioni continuano ad aumentare e le multinazionali ingrassano sempre più grazie a sussidi governativi e rimborsi di imposta sull’elettricità, mentre i poveri pagano affinché il grande capitale possa espandere la rete elettrica. Per essere chiari: il grande capitale viene esentato dal pagare le tasse così da poter finanziare l’espansione della rete e i progetti eolici, poi ricava profitti dagli appalti di costruzione di questi megaprogetti industriali. Nel frattempo, i lavoratori pagano il conto.
Questo è un massiccio trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi.
Da un progetto capitalista all’altro, le principali organizzazioni ambientaliste vengono plasmate da quello per cui riescono a ricevere finanziamenti, e quello che viene finanziato è nei fatti un programma di produzione energetica industriale e “prodotti verdi” che favorisce le multinazionali e il capitalismo. Mosso da un approccio orientato ai risultati e volto a compiacere i grandi donatori, questo sistema è per sua natura portato a non dare la priorità a critiche radicali e idee rivoluzionarie, preferendo quel che fa fare soldi e ha un senso politico nel breve periodo.
In sintesi, le grandi organizzazioni no profit sono il braccio sociale del sistema capitalista.
Singoli individui all’interno di queste organizzazioni possono anche avere buone intenzioni, ma le intenzioni non hanno la stessa importanza dei risultati quando è in giovo il destino del mondo.
Cory Morningstar definisce l’attivismo climatico liberale “l’industria della speranza” e scrive che “350.org e compagnia assolvono l’obiettivo fondamentale… [di far sì che] il pubblico si senta bene con se stesso. Al tempo stesso, assicurano obbedienza e passività nei confronti dello stato in modo da proteggere le attuali strutture di potere e mantenerle intatte… Abbiamo ormai raggiunto il punto critico in cui le multinazionali inizieranno lentamente a liberarsi delle loro partecipazioni tossiche mentre si preparano ad una nuova ondata di ‘ricchezza climatica’ senza precedenti e senza eguali. Stiamo per assistere alla transizione globale verso redditizie false soluzioni mascherate da ‘economia verde’… tutto mentre al contempo si mascherano da nobili custodi della Terra.”
È così che la classe dominante domina
Nel suo libro Il mondo nuovo, Aldous Huxley ha mostrato come un totalitarismo efficace non debba avere l’aspetto di una pistola costantemente puntata contro ogni persona in ogni momento. Una frase falsamente attribuitagli lo spiega bene: “Uno stato totalitario realmente efficiente sarebbe uno in cui la sua leadership onnipotente e il suo esercito di amministratori controllano una popolazione di schiavi che non hanno bisogno di venir costretti perché amano il loro asservimento.”
Le élite odierne hanno lavorato duramente per creare un tale mondo. Esse cavalcano la tensione dinamica tra riforma e reazione. Quando le condizioni politiche ed economiche lo permettono, espandono senza pietà alcuna il loro sfruttamento del pianeta e dei poveri. Quando ondate di scontento nella società li forzano a fare delle concessioni, offrono riforme limitate. Tramite l’illusione della democrazia offerta dalle elezioni, dai cambiamenti legislativi e dal complesso industriale no profit, la classe dominante manipola la società globale. In questo modo smorzano il potenziale rivoluzionario, espandono il proprio potere e consolidano quanto hanno ottenuto.
Queste élite, la classe proprietaria della società globale, stanno conducendo una lotta offensiva. Nel frattempo, progressisti e radicali sono incastrati in una posizione reazionaria: ci difendiamo dall’assalto più recente e rimaniamo sempre più indietro. Il nostro lavoro è quasi del tutto difensivo.
Ma come sa ogni guerriero esperto, le guerre non si vincono rimanendo sulla difensiva. Queste misure difensive possono concludersi in un solo modo: con una progressiva erosione delle vittorie, con un lento scivolamento nel fascismo, e alla fine con la sconfitta. Ed è ciò che stiamo vivendo al momento.
Propaganda contro-rivoluzionaria
I sistemi di trasformazione della società sono stati cooptati dall’élite multinazionale. Ma gli agenti dell’oppressione non sono mai soddisfatti dal mero smantellamento di organizzazioni ed istituzioni. Devono anche assassinare i leader rivoluzionari.
Quando Che Guevara si trovò sulla linea di tiro, le sue ultime parole furono: “Spara, vigliacco. È solo un uomo quello che stai per uccidere.” Fred Hampton, assassinato dalla polizia mentre giaceva drogato nel suo letto a 21 anni, una volta disse: “Puoi uccidere un rivoluzionario, ma non puoi uccidere la rivoluzione.” Thomas Sankara, il rivoluzionario burkinabé a volte chiamato “il Che africano”, aveva lo stesso messaggio da comunicare prima di essere ucciso: “Mentre i rivoluzionari come individui possono venir uccisi, non si può uccidere un’idea.”
Questo non ha impedito ai potenti di assassinare gli individui pericolosi e di tentare di schiacciare le idee pericolose. La guerra psicologica e delle informazioni è costante nella società moderna. Musica pop, televisione, film e altri media, nonché istituzioni come il sistema scolastico e le organizzazioni no profit, promuovono tutti una feroce propaganda contro-rivoluzionaria.
Secondo lo psicologo John F. Schumaker, “siamo di gran lunga le persone più sottoposte alla propaganda della storia.” Si stima che le multinazionali spenderanno 2,1 trilioni di dollari nei media nel 2019.
Elaborare un’offensiva efficace esige che ci disfiamo delle mitologie e delle idee errate insegnate da questi sistemi. In altre parole: fintanto che le nostre menti saranno ancora colonizzate, non saremo in grado combattere e vincere.
Una delle più pervasive tra le idee errate che dobbiamo demolire è la mitologia del pacifismo. Questa mitologia è fabbricata con cura. Le lezioni scolastiche che trattano dei movimenti sociali—sempre qualora il tema venga affrontato—dipingono un quadro di civile lotta nonviolenta. Questo non è un caso. Si insiste su una versione edulcorata di Martin Luther King, Jr. mentre le Pantere Nere non vengono mai discusse. Si celebra la Guerra d’indipendenza borghese americana mentre la Rivoluzione haitiana viene ignorata. Si menziona il suffragio femminile ma viene omessa l’azione diretta radicale delle suffragette nel mondo. In questo modo viene forgiata e modellata l’immaginazione di intere società.
La realtà, ovviamente, è che il mutamento sociale si conquista attraverso la lotta. La storia della nostra società è una storia di lotta di classe. E la rivoluzione è la soluzione ai problemi che affrontiamo. Ma i rivoluzionari sono ignorati dal nostro sistema educativo, calunniati dai mass media e attivamente combattuti dalle politiche statunitensi. Dobbiamo rifiutare queste lezioni tossiche se vogliamo avere una possibilità.
Oltre la nonviolenza
La nonviolenza è un modo profondamente morale di cambiare la società. Nelle giuste condizioni può essere altamente efficace. Ma la diseguaglianza crescente, il collasso ecologico globale e il totale fallimento delle istituzioni esistenti nel rispondere a queste crisi mi hanno portato a mettere in dubbio la nonviolenza—non come faro morale, bensì come strategia pragmatica.
Stamattina sto seguendo le ultime notizie dall’Accampamento Unist’ot’en. Nel Canada occidentale, gli Unist’ot’en hanno bloccato per quasi un decennio l’oleodotto previsto per il trasporto delle sabbie bituminose e del gas ottenuto tramite il fracking.
Non hanno mai ceduto le loro terre al governo canadese né hanno mai firmato trattati. La legge canadese ha riconosciuto la loro sovranità su quelle terre. Ma nel dicembre del 2018 la società che realizza gli oleodotti ha fatto richiesta di ingiunzione alle corti canadesi. L’ingiunzione dà alla polizia (l’RCMP) l’autorità di rimuovere qualsiasi blocco stradale.
Ora, come risultato dell’ingiunzione, uomini armati si trovano in territorio Wet’suwet’en per rimuovere i difensori della terra e a facilitare il fracking, il disboscamento, l’avvelenamento dell’acqua, la costruzione di strade e le altre distruzioni che l’oleodotto porterà con sé.
Il compianto organizzatore Secwepemc e leader internazionale della lotta per i diritti indigeni Arthur Manuel ha definito le ingiunzioni “l’asso nella manica del governo canadese”. Ha detto che “ogni volta che c’è una disputa tra i territori dei popoli indigeni e l’industria, la corte tira fuori le ingiunzioni e si schiera con l’industria.”
La lotta è ancora in corso. Non sappiamo come si concluderà. Potrebbe concludersi vittoriosamente, come è stato per le lotte anti-fracking in territorio Mi’kmaq nel 2013. O potrebbe concludersi con la sconfitta, come a Standing Rock.
Ma sappiamo che, mentre questa lotta prosegue, l’industria fa affari indisturbata da altre parti. Non siamo in grado di combatterli dappertutto nello stesso momento. In giro per il mondo, l’estrazione di carbone, olio e gas è in forte espansione. Estrazione di sabbie bituminose in Sud America, trivellazioni offshore nell’Oceano Artico, fracking del Marcellus Shale del Bacino degli Appalachi, miniere di carbone in Mongolia. In tutto il mondo c’è un boom di grandi progetti industriali, e le emissioni di gas serra salgono a livelli senza precedenti mentre foreste, terreni paludosi, praterie e riserve oceaniche vengono distrutte per l’industria. Le emissioni di anidride carbonica nel 2018 sono aumentate del 3,4% rispetto all’anno precedente—il più grande incremento in otto anni. Il tempo stringe.
Per avere una possibilità di fermare le forze che stanno spremendo la vita dal pianeta, posizioni difensive come l’Accampamento Unist’ot’en sono cruciali. Ma la difesa da sola non è sufficiente, e i governi continuano a schierarsi con l’industria. Se vogliamo sopravvivere, abbiamo bisogno di valide strategie offensive.
Com’è fatta una strategia offensiva?
I cambiamenti legislativi, il voto e il complesso industriale no profit sono tutti controllati dalla classe dominante. All’interno di queste arene la lotta offensiva è essenzialmente e volutamente impossibile.
Una reale lotta offensiva è inerentemente rivoluzionaria. Una rivoluzione è “il rovesciamento forzato di un governo, di una classe o di un ordine sociale, a favore di un nuovo sistema.” Anche se forza non deve necessariamente significare violenza, la violenza fa parte di ogni lotta rivoluzionaria.
A molte delle persone che vogliono giustizia sociale ed ambientale è stato insegnato che una rivoluzione violenta è moralmente indifendibile. Tramite paura e menzogne, le élite ci hanno fatto credere che organizzarsi per fare una rivoluzione sia qualcosa di vergognoso. In tal modo hanno ristretto il campo delle nostre azioni alla sola difesa.
Rompere con l’obbedienza al sistema dominante è il primo passo verso una resistenza efficace. Ciò richiede di decolonizzare le nostre menti e ricordarci quale sia la vera fonte della vita. Dobbiamo tutti scegliere da che parte stare: con la vita o con la macchina.
Tu che parte scegli?
Perfino il più eminente stratega della nonviolenza, Gene Sharp, parla della resistenza nonviolenta come di una forma di guerra. Percepire la nostra lotta in questo modo è importante. Le lotte difensive possono venir intraprese fin quando neghiamo di essere impegnati in una guerra. Ma una volta che accettiamo di essere in guerra, la lotta offensiva diventa una legittima possibilità.
Una volta che la nostra immaginazione si è ampliata, possiamo provare a rispondere alla domanda: com’è fatta una strategia offensiva?
Nella strategia militare, l’obiettivo dell’azione offensiva è di distruggere la capacità del tuo avversario di fare la guerra. Dopo un’azione offensiva efficace non possono continuare a combatterti, non importa quanto intensamente lo desiderino.
Stando alla mia analisi, la principale arma da guerra usata contro il pianeta e i poveri è l’economia industriale globale. Di conseguenza, oggi portare avanti una lotta offensiva significa interrompere le filiere del capitalismo industriale attraverso l’individuazione e la distruzione dei punti critici del sistema economico globale, e attraverso lo smantellamento delle istituzioni della cultura dominante.
Se venisse messa in pratica, cambierebbe gli equilibri di potere a livello globale. I potenti non sarebbero più fisicamente in grado di distruggere il mondo e sarebbe aperta la strada per culture alternative, recupero del territorio e l’inizio del processo di guarigione della Terra stessa.
Porre fine alla guerra
La guerra contro il pianete e i poveri sta infuriando proprio ora. Per porre fine a questa guerra il prima possibile e con la minore perdita di vite possibile, l’unica strada percorribile è fermare la capacità dell’aggressore di far del male ai poveri e di distruggere il pianeta.
Il capitalismo ha reso questa lotta una questione di vita o di morte. Votare non sta funzionando. Firmare petizioni non sta funzionando. Le istituzioni liberali sono allo sfascio. Quelli tra noi che rifiutano questo sistema non possono sopravvivere cercando di coesistere col sistema. Di questo passo, sembra che o sarà la civiltà industriale a sopravvivere, o sarà la biosfera.
La guerra è terribile, e continuare col business as usual è una guerra. Il più velocemente verrà posto fine all’economia industriale globale, minore sarà la sofferenza. Porre fine a questa guerra deve essere il nostro obiettivo prioritario. Ciò significa distruggere la capacità del capitalismo di fare la guerra. Qualsiasi obiettivo minore di questo non è altro che un fischiettare mentre ci avviamo verso la nostra tomba collettiva.
Combattere una guerra è pericoloso, difficile e impegnativo. A volte immagino di tirarmi fuori da questa guerra, diventare un moderno obiettore di coscienza, e vivere una vita semplice. Ma questo non è un cammino morale. Data la nostra attuale situazione politica, dobbiamo prendere decisioni da adulti. La crisi che ci troviamo ad affrontare chiede a tutti noi di diventare rivoluzionari.
Vorrei che mio nonno fosse ancora vivo così da potermi sedere con lui a discutere di tutto questo. Il morbo di Alzheimer se lo è portato via prima che fossi del tutto cresciuto. Ma comunque so che, a differenza di molti, non avrebbe distolto lo sguardo da queste realtà. Le avrebbe affrontate, avrebbe riflettuto, e avrebbe deciso quale era la giusta linea di condotta.
Le mie posizioni politiche sono estremamente impopolari ad ogni livello. Ho ricevuto minacce di morte da ideologi razzisti di estrema destra. Sono stato azzittito a suon di urla dalla sinistra e dalla comunità ambientalista. E ho subito intimidazioni da agenti federali. Quando venne a sapere delle intimidazioni da parte dell’FBI, una delle mie zie mi disse che mio nonno sarebbe stato fiero di me. Mi disse che avrebbe detto, “devi star facendo qualcosa di giusto.”
È questo che dobbiamo fare: ciò che è giusto.
Tratto dal sito Deep Green Resistance News Service e gentilmente tradotto da Peter Mancini