di Danilo Del Bello – Benetton presenta a Firenze un nuovo negozio, uno store concept, fatto con ghiaia del Piave, faggio da alberi abbattuti dalla tempesta Vaia, materiali riciclati ecc…ecc…una nuova fase green per la multinazionale, così almeno viene venduta questa operazione di marketing. La cosa, in sé, potrebbe solo far sorridere: e chi non prova, oggi, a dare una riverniciatina di “green” alle proprie attività economiche, finanziarie, commerciali? D’altra parte, non è una novità per i Benetton cercare di darsi un’immagine ecologica e progressista, globalista ed antirazzista, ad esempio con le fotografie di Oliviero Toscani. Ma avete mai pensato che le foto di Oliviero Toscani per “United Colors of Benetton” hanno un contenuto razzista e di superiorità bianca “occidentale”… la mano sinistra del poliziotto bianco legata con le manette alla mano destra del nero, l’angioletto bianco che bacia la diavoletta nera, il cane bianco che bacia la pecora nera, ecc. ecc.?
Quando poi costoro parlano, sulla indecente scia del Renzi “saudita” di rinascimento sostenibile, sarebbe proprio da sbellicarsi dalle risate. Sarebbe…se la realtà non fosse, dietro i discorsi da mulino bianco, patinati e pieni di ipocrisia, ben più tragica, piena di soprusi e violenza.
La multinazionale Benetton è un vero e proprio impero, presente in 120 paesi del mondo, che si fonda sullo sfruttamento delle popolazioni e sulla rapina dei territori, delle loro risorse e beni comuni. In Argentina, la famiglia Benetton che controlla Edizione srl possiede oltre 900 mila ettari attraverso la Compañia de Tierra Sud Argentino, S. A. equivalente a 45 volte l’estensione della Capitale Federale. Nelle terre dei Benetton pascolano 260 mila pecore, per la produzione di lana pregiata per i loro capi, circa un milione e 300 mila chili da esportare in Italia ogni anno. Negli ultimi anni il magnate ha cercato di diversificare la sua attività. Ha ordinato ai capisquadra dei suoi possedimenti – distribuiti in Chubut, Buenos Aires, Santa Cruz e Rio Negro – di occuparsi di coltivazione di cereali e di produzione di carne bovina e ovina. Come ai tempi della Colonia, Benetton sposa la logica di guadagnare molto su prezzi stracciati. Acquistò terreni quando le terre della Patagonia costavano poco anche a livello locale. Adesso, i suoi possedimenti giacciono su un terreno quotato con diversi zeri nel mercato della speculazione immobiliare internazionale. L‘azienda stessa sostiene che negli ultimi 12 anni, i loro affari hanno reso circa 11 milioni di dollari. Affari di tutti i colori: “united colors” certo, ma del Denaro, con la lunga scia di morte e devastazione delle forme di vita che si porta dietro!
Oltre a certi investimenti forestali nell’Argentina, l’altro nuovo “gioiello” dei Benetton è l’industria mineraria. Certamente, qualunque imprenditore che cerchi di espandere i propri affari, si rende conto quasi subito dei vantaggi che il sottosuolo e la legislazione locale offrono a questo settore. L’azienda Minera Sud Argentina Sa – dove i Benetton sarebbero azionisti di maggioranza – ha comunicato che sta realizzando esplorazioni a nord est di San Juan, cercando oro e rame.
L’impero Benetton ha tutte le caratteristiche di un impero neo-coloniale, che magari si ammanta del diritto alla proprietà privata, coperto dalla legge di governanti corrotti, sudditi e compiacenti, ma che non può occultare il suo fondo oscuro, la sua anima nera, la violenza dell’ espropriazione delle comunità e delle terre indigene, la negazione della loro autonomia sociale e culturale, il volto fascista della repressione contro tutti coloro che resistono, si ribellano, lottano per la riappropriazione della loro terra.
“La proprietà privata è un furto” diceva Proudhon…ed il diritto fondato su di essa è la legalizzazione della rapina e dell’espropriazione violenta del “Comune”, di ciò che appartiene a tutti, la terra, l’acqua, l’aria, gli affetti, le relazioni, i linguaggi, la cooperazione sociale.
Diritto di resistenza e di riappropriazione collettiva dei beni comuni contro diritto proprietario: questa la grande lezione delle lotte delle comunità indigene in America Latina, dai mapuche agli zapatisti! Un messaggio “globale” di pratiche materiali, di autorganizzazione ed autodeterminazione, per le quali dobbiamo sentirci non solo “solidali”, ma intimamente partecipi, come diceva Rosa Luxemburg quando rimproverava i socialdemocratici tedeschi per la solidarietà esterna alla rivoluzione sovietica: ogni lotta, anche le più piccole battaglie degli sfruttati e degli oppressi , devono essere vissute come proprie, come parte di un tutto.
Benetton è uno dei simboli del capitalismo multinazionale, neo-coloniale ed estrattivista, dando al concetto di estrattivismo una dimensione ampia ed articolata si più dimensioni: il denominatore comune è estrazione di valore dal “vivente” nel suo complesso, umano e non umano, la devastazione della terra e della natura, lo sfruttamento e la sacrificabilità di intere popolazioni. La violenza repressiva contro tutto ciò che si oppone, resiste, afferma i propri diritti ne costituisce l’essenza. Emblematico il caso del giovane solidale con la lotta Mapuche, Santiago Maldonado, ucciso nei territori di Benetton ed il cui corpo è stato trovato tre mesi dopo ed i cui responsabili sono ancora liberi ed impuniti, mentre sul banco degli imputati siedono gli attivisti testimoni delle violenze della gendarmeria. A parte gli esecutori materiali, di chi la responsabilità politica? Ma questa vicenda atroce è solo la punta di un iceberg di una lunga storia di violenza e repressione verso le comunità indigene, piena di sparizioni, morte, sangue e sofferenza. Fuori dal carcere dove viene detenuto un altro militante Mapuche, Facundo Jones Huala, spicca un cartello: ”Il paradiso perduto non può più attendere”.