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Una malora da mezzo miliardo. Viaggio nella Ghost Town di un G8 nato morto

Non vogliono giornalisti tra le palle al super ultra mega lussuoso grand hotel La Maddalena (con annesso Yacht Club). Faccio appena in tempo a buttare un occhio sullo spettacolare lampadario firmato dalla Zaha Hadid, quello che da solo è costato – ci è costato – 110 mila euro, che il guardiano mi caccia via. Dice che non c’è niente da vedere. E, da un certo punto di vista, ci ha pure ragione! E’ tutto vuoto, tutto spento, tutto abbandonato, tutto buttato là alla va la che va bene. Non fosse che tutto l’ambaradan è costato – ci è costato – mezzo miliardo di euro, ci sarebbe pure da ridere.
Invece c’è solo da incazzarsi.
Ed i primi ad incazzarsi sono loro, gli abitanti dell’isola che ha la disgrazia di trovarsi, sia pure di poco, più vicina alla Sardegna italiana che alla Corsica francese. “Perché in Corsica non si fanno mettere i piedi in testa dallo Stato centrale come  da noi – mi racconta un’amica sarda – Là han messo le bombe e si sono conquistati una forte autonomia, così che possono decidere loro sulla loro terra. Cosa che da noi è impossibile. Guarda quello che è successo qui, alla Maddalena. il Governo ci ha messo nelle peste realizzando strutture inutilizzabili per un G8 mai arrivato e poi ha lasciato la gatta da pelare alla Regione Sardegna che non ha i soldi per ristrutturare tutto ma deve comunque spenderci perlomeno 3 milioni all’anno per la manutenzione minima e, addirittura, per pagare l’Imu a quello stesso Stato che l’ha messa nelle peste”.

G8, Grandi Opere, Basi militari e altre porcherie

Quella che andiamo a raccontare è una brutta storia che ci ha dentro un po’ di tutto il pattume che sta infangando anche il Continente (come da queste parti chiamano il resto d’Italia). Ci sono le tangenti, il malaffare, il G8, la corruzione, lo spreco di denaro pubblico, la malapolitica, l’inquinamento, la devastazione ambientale, il ricatto “lavoro o ambiente”, le Grandi Opere e pure la base americana. E partiamo proprio dalle Stelle e Strisce.
Finita la guerra, la marina Usa si insedia alla Maddalena e in alcune isole circostanti per impiantare una base super segreta. Non nel senso che nessuno sa dove sia, ma che non si ha idea di quello che ci fanno dentro. Tanto è vero che i rilievi ambientali sulla qualità dell’acqua che sono stati eseguiti, non all’interno delle basi top secret, ovviamente, ma nelle prospicienti coste sarde, hanno sempre rilevato una forte contaminazione da mercurio e idrocarburi. Una indagine di Legambiente nei primi anni del 2000 ha confermato valori di radioattività di gran lunga superiori alla norma e ha rilevato nelle acque tracce di plutonio.
Eppure, più che gli italiani, a preoccuparsi e ad incavolarsi sono i francesi. Nei giornali transalpini, trova grande eco la notizia delle tracce di torio 234 rilevate in quantità anomala, in campioni di alghe raccolte lungo le sponde corse. Il torio, ricordiamolo, è una sostanza inquinante e radioattiva, figlia dell’uranio impoverito per le armi nucleari. Il tutto alla faccia dello Stato Italiano che casca dalle nuvole. Interrogazioni e richieste di spiegazioni da parte di deputati e senatori più francesi che italiani, ottengono soltanto un netto “no comment” da parte della marina Usa che a casa sua, anche quando sarebbe casa degli altri, è abituata a fare quel cavolo che gli pare.

Dollari e bistecche

Fatto sta, che la base e la forte presenza di militari nordamericani condizionano pesantemente l’economia dell’isola, abitata da poco più di 10 mila persone. Tutti alla Maddalena lavorano per gli americani e nelle edicole è più facile trovare il Washington Post che il Corriere della Sera. I marinai pagano in dollari e nessuno si sogna di protestare per il torio. Arriviamo al 2007. Gli scenari della guerra globale sono cambiati e anche la Casa Bianca si accorge che una base navale nel canale di Bonifacio non serve più a un beato cazzo. Così, gli Usa ringraziano e se ne vanno. Senza peraltro curasi di lasciare i cessi puliti o di bonificare l’area inquinata. Di più, senza neppure spiegare cosa e come aveva causato l’inquinamento.
Se per tanti sardi al di là del canale, la partenza delle navi di Zio Sam è un sollievo, per i maddalenini è la crisi nera. Tutta l’isola si ritrova improvvisamente nelle proverbiali braghe di tela. “Tutti noi lavoravamo con i soldati americani – mi spiega una ragazza che oggi gestisce un b&b -. Io facevo la cameriera in un locale. I soldati ordinavano solo bistecche e patatine, ma pagavano senza fiatare e tutte le sere c’era il pienone nel mio come negli altri locali. Oggi non sono rimasti in piedi neppure un quarto dei ristoranti che c’erano allora. Tanti della mia generazione sono dovuti partire per il continente. Il turismo locale non è bastato a coprire l’uscita di scena dei militari. Anche perché tutte le nostre strutture turistiche erano conformate a quel tipo di clientela. Gli yacht poi, non arrivano perché le acque sono inquinate e piene di barriere sommerse”.

Prima Prodi e poi Berlusconi. Le disgrazie non vengono mai da sole

I maddalenini si sono accorti di punto in bianco, sulle loro tasche, che una economia incentrata su una presenza militare alla lunga non paga. Alla fine dei conti, si sono trovati a gestire isole impestate  di caserme e mega strutture di guerra, un mare inquinato da non-si-è-ancora-capito-bene-cosa, senza prospettive future e senza più entrate presenti. Come si dice: cornuti e mazziati.
Come se non bastassero le disgrazie, ci si mette pure Romano Prodi che nel 2008 è presidente del Consiglio. Ecco la sua soluzione: “Risarciremo i maddalenini trasformano le strutture Usa in grandi alberghi per ospitare il G8 del 2009. Finito il summit, alberghi e yacht club saranno il volano per far ripartire l’economia dell’isola”. Evviva, evviva.
Prodi non lo sapeva, ma qualcuno nel suo stesso Governo lavorava per fargli le scarpe, e non toccherà a lui concludere l’operazione Maddalena. A Palazzo Chigi sale tale Silvio Berlusconi, la corruzione fatta uomo, che coglie la palla al balzo e, con la scusa di velocizzare i lavori per il G8, vara una leggina che avrebbe fatto arrossire di vergogna anche la Repubblica Popolare della Corea del Nord: la gestione degli appalti per il G8 viene affidare alla… Protezione Civile! Non vi sto a dire che era il capo della Protezione Civile all’epoca. Anzi, ve lo dico: tale Guido Bortolaso che riesce a spendere in un anno o poco più 470 milioni di euro, lampadario di Zaha Hadid compreso.
Con la regia di Bortolaso, i costi lievitano come una torta paradiso in forno di circa il 60 per cento del previsto. In campo scende anche la Mita Resort, una società che fa riferimento ad Emma Marcegaglia che era appena diventata primo presidente donna di Confindustria. La Mita si aggiudica l’appalto col collaudato sistema del “un solo partecipante, vittoria sicura, nessuno protesta e tutti contenti”.

Lo scippo del G8

C’è da dire, rispetto alle perennemente inconcluse Grandi Opere dai Grandi Crolli cui siamo abituati negli ultimi tempi, che alla fine la premiata ditta Bortolaso&cricca riesce a sistemare tutto per la partenza in grande stile. Soltanto che il G8 non si farà più alla Maddalena.
Il 6 aprile del 2009 un terremoto devasta l’Umbria. Il Berlusca coglie la palla al balzo. Alla Maddalena oramai i soldi pubblici erano stati spesi, le tangenti distribuite, la cricca dei Grandi Eventi accontentata. Non c’era quindi motivo di continuare un progetto che, tra le altre cose, era stato voluto dall’odiato predecessore Romano Prodi. All’Aquila, al contrario, con la ricostruzione si apre un’altra mangiatoia mica da ridere (e questa è un’altra storia). Così, all’ultimo momento, il G8 viene deviato verso il capoluogo umbro.
Per i maddalenini è un’altra mazzata. Il Berlusconi prova a tranquillizzarli (ed a tranquillizzare la Marcegaglia che già minacciava di levare l’appoggio di Confindustria al Governo). “Faremo alla Maddalena una decina di grandi eventi all’anno” dice. Non dice però quali. Nel 2011, parte una specie di “stagione turistica d’apertura” ma le mega strutture rimangono vuote. Al Grand Hotel Carlo Felice si sono dimenticati di fare il parcheggio, non c’è la piscina ma in compenso hanno lasciato i muri alti circondati da filo spinato da caserma. Il posto era un ex ospedale militare e le ristrutturazioni fatte alla cazzo di cane non sono riuscite a cambiarne l’aspetto inquietante. Di clienti non si vede neppure l’ombra. Un po’ meglio al super ultra mega hotel La Maddalena, gestito dalla Mita (che si è guardata bene in fase di concessione da accollarsi quella bruttura dell’ex ospedale). Ma anche qui la clientela ricca preferisce frequentare la vicina e più esclusiva Costa Smeralda, senza sbattersi in scomodi traghetti, per frequentare i poveri – dal loro punto di vista – locali maddalenini ancora tarati sul gusto “bistecche e patatine” dei marinai Usa. Senza contare che nessuno è tanto fesso da ancorare la sua barca allo Yacht Club sempre in attesa di bonifiche dove rischio, oltre alla salute, anche la chiglia della barca sui dissuasori sommersi che gli americani han lasciato in eredità.
Per farvela breve, la stagione d’apertura è un fallimento completo. Gli hotel aprono e chiudono subito.

Arrivano puntuali gli scandali. E che altro?

E questo è anche l’ultimo tentativo di rilanciare le mega strutture realizzate per quel G8 fantasma. In quello stesso anno, gli scandali investono Bortolaso. Viene a galla il marciume nascosto sotto i Grandi Eventi. Anche il Berlusca se ne va.
A finir nelle rogne è pure la Mita Resort che, oltre all’inchiesta della magistrature, si trova a gestire una serie di strutture non soltanto inutilizzabili ma anche costosissime da mantenere. L’azienda fa causa alla Protezione Civile per i mancati guadagni e il tribunale accoglie in parte le sue richieste, condannando l’ente che non ha soldi neppure per salvare i paesi delle frane, a pagarle 39 milioni di risarcimenti. Per adesso, perché altre cause sono in corso. Intanto, la Mita Resort si guarda bene dal pagare la concessione di 65 mila euro all’anno pattuita con la Regione, sostenendo che le strutture sono impraticabili per via della mancata bonifica. La faccenda tra corsi, ricorsi e vari gradi di giudizio è ancora in mano agli avvocati. Categoria questa, che non conosce crisi soprattutto in tempi di crisi.

Come se non bastasse, cala la scure del patto di stabilità

Qualche anima candida tra i lettori potrebbe obiettare: “Ma non sarebbe una mossa intelligente completare le bonifiche così da far ripartire perlomeno il porto? Per non parlare della salvaguardia della salute di isolani e turisti”. Giusto. Ed è per questo che nel 2013 lo Stato ha designato il Comune della Maddalena come soggetto attuatore delle bonifiche, stanziandogli il ragguardevole finanziamento di 11 milioni di euro. Finanziamento di cui il Comune ha sentito appena l’odore, perché il patto di stabilità gli ha chiuso i cordoni della borsa meglio di una cassaforte svizzera. I soldi ci sono ma non ci sono.
Senza le indispensabili bonifiche, chi ci rimette economicamente, maddalenini a parte, è soprattutto la Regione Sardegna che, tra Imu allo Stato e le pur minime manutenzioni alle enormi strutture, che ugualmente cadono a pezzi giorno dopo giorno, butta ogni anno 3 milioni di euro. Senza contare gli stipendi al personale – una dozzina di persone – impegnato a sorvegliare alberghi, moli e club.
Anche se tutto sta andando alla malora, una guardia è comunque necessaria. Ci sono i gruppi elettrici da far funzionare, i giornalisti da allontanare, le ricche attrezzature turistiche da sorvegliare. Beni di ultra lusso per circa 9 milioni di euro.

Senza contare l’immenso quanto assurdo lampadario firmato dalla Zaha Hadid che non deve mai essere perso d’occhio. Fosse mai che qualche maddalenino se lo volesse appendere in camera sua.