Altra lunga tappa (150 km) che possiamo dividere in tre parti.
Una prima parte con l’uscita da Ludwigshafen, intravedendo tra le case e gli alberi i diversi stabilimenti chimici, e il successivo “riscaldamento” tra i sali e scendi delle colline di vigneti attorno a Worms: cielo cangiante (sole, pioggerellina, vento e poi di nuovo sole).
Una seconda parte, sempre sulle colline ricoperte di vigneti multicolore, ma questa volta sotto una pioggia fitta e su lunghi tratti sterrati (letteralmente “caresoni” di servizio all’attività agricola). Che dire: stupendo, magnifico, entusiasmante! Qui per me la fatica svanisce e inizio a pedalare (e guidare la bicicletta) come un bambino… mi ricordo che ho imparato ad usare (e amare) la bicicletta proprio così, girando tra i campi e lungo stradine di campagna e così, più la pioggia batte, più il terreno si fa insidioso e più sorrido e spingo sui pedali, saltellando tra fango, pozzanghere e ciottoli, mettendo a dura prova la bicicletta e tutto l’armamentario appeso. Per farvi capire quanto mi sono divertito, mi sono concesso pure un selfie! 😊
Bagnati e infreddoliti (non si può sempre “giocare”) cerchiamo riparo, e un’altra locandiera (non so come definire questi locali: non sono bar ma nemmeno trattorie) impietosita ci riscalda con una minestra di verdure. La pausa porta anche il sole, così ripartiamo per raggiungere nuovamente il Reno scendendo nella spettacolare gola di Bingen. Qui comincia la terza parte del percorso, che ci porta a pedalare seguendo il Reno osservando i diversi paesi adagiati sulle rive, gli innumerevoli castelli e la fitta rete ferroviaria (linea passeggeri sulla sponda sinistra, merci sulla destra, con passaggi frequentissimi). Facciamo così i chilometri per arrivare a Coblenza, fermandoci un momento solo per “depredare” un bar di tutte le torte che aveva a disposizione, ed arrivando ormai con il buio in città.
Dalle 8.00 alle 20.00 in bicicletta, attraversando paesaggi e climi diversi, superando guasti tecnici (forature, raggi, freni), con le lettere sempre al sicuro nelle borse… insomma, un’altra splendida giornata!
Stefano Munarin
Il giorno delle forature
Era da un paio di giorni che queso pensiero ronzava nella testa di alcuni di noi ma, forse per semplice scaramanzia, nessuno lo aveva condiviso con gli altri compagni di viaggio.
Dopo nove giorni di viaggio in bicicletta con 25-30 ciclisti di media e circa un migliaio di km percorsi si erano verificati ben pochi problemi meccanici, se non qualcosa al cambio di Stefano G, la corona storta a Marco B, i supporti della borsa rotti di Gabriele e il portapacchi posteriore di Roberto G.
Poca roba rispetto alle probabilità di guai meccanici che possono capitare, visto il totale dei km percorsi e le comdizioni di stress a cui sono sottoposte le biciclette nei diversi fondi percorsi, con i pesi di cui sono caricate.
Ma la cosa che sorprendeva molti di noi era che al momento non avevamo avuto neanche una foratura. E il giorno inevitabile della smentita è arrivato in grande stile, con quattro forature (Dino, Adriano, Mario e Gianpaolo), a cui dobbiamo sommare la sostituzione delle pastiglie dei freni a disco di Gigi e dei pattini dei freni di Toni e la rottura di un raggio di Marco B. Riparazioni parziali o complete sempre sotto il grande controllo tecnico di Dino, il nostro (rapido) mago della bicicletta.
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Ma le riparazioni sono state solo uno solo dei filoni che hanno reso molto difficile questa giornata.
Il decimo giorno ininterrotto in sella alla bicicletta è partito con la solita pioggerellina che ci ha accompagnato da Trento in poi e che ci ha obbligato a creare una relazione intima con l’umidita. Dopo un po’ si è però trasformata nella prima vera pioggia del nostro tour. Quella pioggia che ti cade addosso senza tregua e colpisce con forza tutto il corpo e, oltre a sferzarti la faccia, piano piano si infila in ogni pertugio dell’abbigliamento non perfettamente sigillato e finisce in breve tempo a far diventare fradici mani e piedi, anche se coperti da copriscarpe impermeabili. E già, perché in questi casi l’acqua non arriva solo dal cielo, ma ti attacca anche dal basso, attraverso le tante pozzanghere d’acqua che siamo costretti ad attraversare.
Il fondo della strada è un altro problema che ci ha complicato la vita in questa tappa, con pezzi di strada sterrati resi viscidi e fangosi dall’acqua e ampie pozzanghere che attraversiamo sempre con un po’ di timore, non potendo sapere quale sorpresa potrà celare nel fondo della pozzanghera quell’innocente velo d’acqua.
Infine, alcune salite, non sicuramente di per sé eccezionali in termini assoluti, ma trasformate in difficoltà significative in una tappa comunque di circa 150 km, con condizioni meteo avverse e le gambe che mantengono buona memoria delle fatiche accumulate nei giorni precedenti.
Il gruppo reagisce in modo completamente diverso dal giorno precedente e, invece di rimanere compatto, si frantuma in più tronconi che fanno scelte diverse rispetto al tracciato originale o affrontano il percorso con diverse velocità. La foratura di Adriano è provvidenziale per raggrupparci tutti in un punto comune, non molto lontano da un piccolo punto di ristoro che decidiamo di scegliere per la nostra sosta. Gli unici due avventori e i gestori del locale osservano con curiosità i 22 nuovi clienti che entrano completamente fradici on una chiara richiesta: una zuppa calda e una birra.
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Il proprietario è costretto a tirar fuori dagli scatoloni dei bicchieri nuovi, perché fprobabilmente non ha mai avuto tanti clienti in un colpo solo. La zuppa ha chiaramente origine dalle buste acquistate in un supermercato vicino, ma è calda e insieme alla possibilità di spogliarci dalle cose bagnate e di far sedere il nostro dolce fondoschiena su qualcosa di diverso da un sellino, rende la pausa fantastica.
Alla ripartenza sappiamo che ci aspettano ancora una settantina di km pianeggianti, altrettanto difficili in questa tappa perché i fisici sono stati messi sotto stress.
Ci concediamo allora un’altra sosta a meno di 40km all’arrivo per una fetta di (ottima) torta e un caffè caldo e ripartiamo con il sole ormai basso. Pedaliamo piano per far rientrare il terzetto che si era fermato a cambiare la camera d’aria dell’ultima foratura echi si era fermato a far cambiare il raggio.
Arriviamo in hotel verso le 19,30. Dovremmo percorrere 2 km a piedi per raggiungere il ristorante ipotizzato ma, visto anche l’orario ormai a rischio per i ristoranti tedeschi, preferiamo invadere letteralmente il piccolo negozio di Kebab vicino all’albergo, con la prospettiva di poter andare quanto prima a coricarci a letto per il meritato riposo.
Daniele Pernigotti