Montecchio Maggiore. Solitamente il nome di questa tranquilla cittadina dell’Ovest vicentino non si legge spesso sui giornali e tanto meno lo si sente nominare nei notiziari.
Eppure, nonostante in città non accada mai nulla di eclatante, se non il passaggio, ogni tanto, di qualche competizione ciclistica di livello più o meno nazionale, negli ultimi mesi ci si sta rendendo conto di come questa anonima cittadina stia per diventare uno snodo nevralgico del nuovo sistema viario e ferroviario che sta letteralmente ridisegnando il paesaggio urbano e rurale vicentino.
Su una superficie comunale di appena 30 Kmq, infatti, passeranno la Superstrada Pedemontana Veneta (Spv) e la nuova linea del TAV, per citare solamente le opere maggiori.
La Superstrada Pedemontana Veneta è superstrada a pedaggio (di fatto un’autostrada) con due corsie per senso di marcia, della lunghezza complessiva di 95km. Parte dal casello della A4 di Montecchio Maggiore per giungere a Spresiano dove si collega alla A 27 ed interseca, lungo il tracciato, la A31. La storia della Pedemontana Veneta è lunga e complessa, segnata dal fallimento di diversi progetti e da una lunga querelle giudiziaria tra Pedemontana Veneta spa e l’ATI SIS. Riguardo a questi argomenti, basti sapere che nel corso delle molteplici progettazioni realizzate, quella che avrebbe dovuto essere un’opera di potenziamento del sistema viario locale del nord vicentino, a servizio, quindi, del traffico a breve percorrenza, è progressivamente divenuta ciò che di fatto è un’autostrada, inserita all’interno del Corridoio 5 Lione-Kiev.
L’opera, del valore di 2.258 milioni di euro, è finanziata mediante la procedura del “Project Financing” con l’ingente partecipazione di capitali privati a fronte di un investimento pubblico che, secondo le iniziali stime di progetto avrebbe dovuto essere di 175 milioni di euro ma che è già lievitato, raggiungendo i 614,9 milioni di euro. Questa particolare procedura di finanziamento prevede che l’opera, una volta ultimata, rimanga in concessione al privato costruttore per un periodo di tempo (circa 40 anni), che permetta a quest’ultimo di estrarre una proficua rendita dai pedaggi pagati dall’utenza, garantita dalla Regione che si assume l’onere di versare compensazioni (per un valore complessivo di circa 400 milioni di euro) al concessionario nel caso in cui i flussi di traffico dovessero risultare inferiori rispetto alle stime previste di 25,000 veicoli al giorno.
Questi fatti, ovvero l’incremento esponenziale del finanziamento pubblico nella fase di costruzione ed il complessivo impianto del Project Financing, fondato su previsioni di traffico sovrastimate, hanno attirato l’attenzione della corte dei conti che ha inviato al commissario Vernizzi, responsabile dei lavori, svariate richieste di chiarimento. Non sono solo questi, però gli unici casi in cui la SPV finisce al centro dell’attenzione della magistratura. Stefano Perotti, il direttore dei lavori dell’opera, è infatti, tra gli indagati di primo livello all’interno scandalo Incalza; l’inchiesta della magistratura che ha portato allo scoperto il sistema clientelare con cui venivano affidati incarichi di rilievo nella realizzazione delle opere pubbliche fondato sulle figure di Ercole Incalza e dello stesso Perotti.
La variante altimetrica al tracciato della SPV.
Al fosco quadro che emerge da questa descrizione per sommi capi dell’opera, si aggiunge l’impatto devastante che questa sortisce nell’intera Valle dell’Agno ed in particolare su Montecchio. La superstrada che partirebbe dal nuovo casello della A4 di Montecchio Maggiore, attualmente in costruzione, si congiungerebbe all’attuale strada regionale 246, che costeggia la città a sud-ovest fino a giungere ai margini settentrionali dell’abitato dove verrà costruito il casello di ingresso della superstrada oltre il quale la superstrada a pedaggio proseguirà in affiancamento a ovest dell’attuale statale 246 fino a raggiungere la frazione Ghisa di Montecchio Maggiore. In questo punto la SPV avrebbe dovuto sottopassare in galleria artificiale la SS246 portandosi a est della stessa ma l’installazione degli scatolari in cemento armato che avrebbero dovuto essere interrati fino a 20 metri, avrebbe potuto in qualche modo interferire con lo scorrimento della falda freatica che, in questo punto è pesantemente inquinata dagli sversamenti delle industrie chimiche adiacenti. Per questo motivo Arpav ha richiesto al commissario Vernizzi di valutare un’alternativa di percorso prontamente realizzata con la modifica altimetrica del tracciato. La nuova variante prevede la realizzazione di un viadotto per sovrapassare la statale che verrebbe “interrata”, abbassandola al di sotto del piano campagna per mitigare il forte impatto paesaggistico prodotto da questa modifica. Come si evince dalla consultazione delle planimetrie la frazione Ghisa di Montecchio verrebbe letteralmente strangolata, chiusa tra il viadotto da una parte e le pendici del monte dall’altra.
Passiamo ora a parlare del Tav; il tratto di Alta Velocità che riguarda Montecchio Maggiore si inserisce all’interno della trasversale Torino-Milano-Venezia a sua volta inserita all’interno del Corridoio 5 Lione-Kiev il quale, più che il disegno ponderato di un sistema di trasporti di respiro internazionale, sembra declinarsi come contenitore all’interno del quale trovano legittimazione i progetti più disparati, dalla Pedemontana all’Alta Velocità, senza alcuna apparente coerenza.
Il lotto costruttivo di riferimento per questo tratto di TAV è quello vicentino Montebello-Vicenza-Grisignano di Zocco che procede in affiancamento a sud della linea storica per 32km di doppio binario da realizzare.
Il progetto della tratta che ci interessa è, in realtà, uno studio di fattibilità condotto da Confindustria Vicenza in collaborazione con l’amministrazione comunale, la Provincia, la Regione ed RFI; approvato dal consiglio comunale che in linea teorica non avrebbe sovranità di decisione in questa materia, viene considerato come un progetto preliminare a tutti gli effetti, costituendo, con ciò, una vera e propria anomalia all’interno del normale iter di progettazione di un’opera di interesse pubblico. Oltre a queste criticità di carattere tecnico-procedurale, si aggiungono gli elevati costi di realizzazione dell’opera (stimati in 2,5 miliardi di euro) sui quali faranno sentire il proprio peso le compensazioni che si dovranno assicurare ai privati ma sopratutto alle numerose attività produttive intercettate dalla realizzazione della nuova linea ferroviaria fra le quali ve ne sono alcune di importanza non trascurabile come le Acciaierie Valbruna, che dovranno spostare parte delle proprie strutture produttive per fare spazio all’Alta Velocità.
Focalizzando, ora, l’attenzione sull’impatto che quest’opera produrrebbe sul territorio, in particolare su quello montecchiano, si può rilevare come questo possa apparire marginale se considerato agli sconvolgimenti che verranno ad interessare Vicenza che sarà letteralmente trasformata dal punto di vista urbanistico e viabilistico dallo smembramento della stazione centrale in due stazioni periferiche e l’interramento della linea ferroviaria esistente per 2777m. Ciò nonostante, l’arrivo dell’alta velocità interesserà in particolar modo i margini sud-occidentali del quartiere Alte Ceccato, attraversato in quest’area dall’attuale linea ferroviaria a cui si affiancherà la nuova linea ad alta velocità. Ciò produrrà l’abbattimento di una ventina di edifici ad uso abitativo oltre alla riconversione ad uso ciclo-pedonale dell’attuale sotto-passaggio che assicura il collegamento con zona Valle di Alte Ceccato. Oltre a ciò si consideri che in questo punto il treno sfreccierà a pochissima distanza dall’abitato alla velocità di 220 km/h, con tutto quello che ciò comporta in termini di rumore e vibrazioni del terreno, determinando un sensibile abbassamento della qualità della vita in una zona periferica della città già fortemente depressa e desertificata.
Per concludere l’inquietante quadro che emerge per l’ovest vicentino, a fronte degli sconvolgimenti prodotti dalle grandi opere in cantiere, si pone la questione della contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche delle falde acquifere ad opera dell’industria chimica Miteni spa.
Azienda di proprietà del gruppo Mitsubishi, la Miteni è situata a nord di Montecchio, nel comune limitrofo di Trissino. Da decenni attiva nel settore della chimica, quest’azienda è già stata oggetto di polemiche ed indagini nel corso degli anni ’80 per aver lo sversamento di sostanze nel vicino torrente Poscola.
Nel 2013 Arpav, compiendo alcune analisi sui pozzi nella provincia di Vicenza, ha rilevato un’elevata concentrazione di perfluoranti, detti anche PFAS o PFOA, nei pozzi attorno al comune di Lonigo a sud di Montecchio Maggiore e ha quindi avviato un’indagine durata fino all’anno seguente per rintracciare la fonte dell’inquinamento e delimitare la zona contaminata. Quest’ultima coinvolge una ventina di comuni tra le province di Vicenza, Verona e Padova, interessando una superficie complessiva di oltre 150 Kmq.
I perfluoranti sono composti chimici dall’elevato tasso di bioaccumulo utilizzati nell’impermeabilizzazione di pelli o tessuti, nella produzione di vernici e pitture o di detergenti e cere, oltre che di pesticidi, schiume antincendio, oli idraulici per l’industria aereonautica, ecc.
Visto le loro particolari caratteristiche di solubilità si diffondono rapidamente nelle falde acquifere, senza, però, disciogliersi e dato, appunto, l’elevato bioaccumulo, permangono a lungo negli alimenti (frutta, verdura, carne, ecc.) che ne vengono a contatto tramite l’irrigazione o l’abbeveraggio da pozzi contaminati.
Per quanto riguarda la pericolosità per l’uomo di queste sostanze, è stato appurato che i PFAS, se assunti in elevate quantità, (si parla nell’ordine di nanogrammi/litro) agirebbero come interferenti endocrini, ovvero interferirebbero con il corretto funzionamento del sistema endocrino/ormonale causando patologie anche gravi, quali: ipercolesterolemia, cancro al rene, cancro ai testicoli, malattie della tiroide, colite ulcerosa, ecc. Per questo motivo sono stati avviate operazioni di monitoraggio dei pozzi e di filtrazione delle acque nelle zone maggiormente contaminate, mediante l’utilizzo di filtri ai carboni attivi, molto costosi e non riutilizzabili.
Raffigurazione dell’area interessata dalla contaminazione da perfluoranti