La tempesta perfetta: cemento, inquinamento e crisi climatica. Il caso del Polo Logistico di Casale sul Sile

di Andrea Berta In questi giorni stiamo vivendo un’esperienza che ha il sapore del dejà vu: dopo un inverno secco, con livelli di siccità che hanno messo in ginocchio moltissimi agricoltori, sono arrivati nubifragi che hanno causato esondazioni di torrenti, come vediamo nel territorio di Follina, Farra e Tarzo, dove si sono verificate alcune frane.

Questi fenomeni estremi stanno diventando ormai sempre più frequenti nei nostri territori, la memoria va direttamente alla tempesta Vaia, all’acqua granda a Venezia lo scorso novembre, ma la realtà è che ci sono centinaia di altri fenomeni meno estremi che avvengono però con una frequenza altissima. Nel 2019 sono stati 157, tra nubifragi, frane, siccità e trombe d’aria, che hanno causato 42 morti.

Questo si combina ad un altro fenomeno: la cementificazione ed il consumo di suolo. Negli ultimi 40 anni, il consumo di suolo ha giocato un ruolo fondamentale nella devastazione del territorio veneto. La logica dello sviluppo, che ha trovato in questo campo una enorme fonte di profitto, ha prodotto innumerevoli scempi ambientali: le cave, nel numero di 1500 tra dimesse e attive al momento attuale; urbanizzazione selvaggia, con il 12,45% di suolo consumato da opere che sono, molto spesso, inutilizzate (quali zone industriali dismesse, migliaia e migliaia di unità immobiliari sfitte, centinaia di centri commerciali); infrastrutture inutili come Valdastico Sud, la costruenda Pedemontana Veneta, basi militari Usa e depositi di stoccaggio militare nella provincia di Vicenza, Mose etc.

In uno studio sulle “Dinamiche delle inondazioni nel paesaggio urbanizzato”, pubblicato dalla rivista “Scientific Report” (gruppo Nature), il professor Paolo Tarolli del Tesaf, dipartimento Territorio e sistemi agro-forestali dell’Università di Padova, coi colleghi Giulia Sofia, Giulia Roder e Giancarlo Dalla Fontana hanno analizzato un secolo di dati del Veneto, dal 1910 al 2010. Il lavoro ha messo assieme i dati sulla impermeabilizzazione del territorio veneto, calcolando un “indice di urbanizzazione”, e anche quelli sui mutamenti che sono avvenuti nel clima (grazie a dati di Magistrato alle Acque, Arpav, Cnr e altre fonti, anche aggiornati dal Tesaf), calcolando quindi un “indice di aggressività climatica” per la crescente intensità delle piogge: in questo caso ad esempio si è calcolato che nei decenni la concentrazione di pioggia è cresciuta di poco meno del 10%. Però i cambiamenti climatici stanno portando ad un aumento di fenomeni metereologici estremi, che uniti al continuo aumento di consumo di suolo e impermeabilizzazione del suolo, portano ad un aumento notevole dell’aggressività delle inondazioni, come di altri fenomeni correlati.

Fig1. Le mappe elaborate nello studio del prof. Tarolli e dei suoi colleghi. Le prime due a sinistra, in alto e in basso, indicano come è stata l’edificazione e la impermeabilizzazione del Veneto negli ultimi 40 anni. Le mappe centrali (sempre sopra e sotto) indicano invece il cambiamento climatico, con i guai che si spostano dalla riviera marina verso la pianura pedemontana a est. Infine la novità: l’indice di aggressività delle piene, e una miriade di punti “caldi” che sono a rischio. ( fonte: Sofia, G., Roder, G., Dalla Fontana, G. et al. Flood dynamics in urbanised landscapes: 100 years of climate and humans’ interaction. Sci Rep 7, 40527 (2017). https://doi.org/10.1038/srep40527)

Questo ha un effetto di lunga durata sul benessere sociale ed economico delle popolazioni che vivono in quei territori, esempi evidenti sono i danni dell’uragano nella Riviera del Brenta (55 milioni) o quelli della tempesta Vaia (1.769.000.000 miliardi di euro in Veneto). Questo perché l’impermeabilizzazione del suolo passa anche nella monocoltura e in pratiche agronomiche che riducono la capacità di trattenere e drenare precipitazioni del suolo (nel caso del bellunese, la monocoltura di abeti rossi).

Lo studio conclude che lo sviluppo socio-economico di un territorio si lega a doppio filo con i cambiamenti climatici, e che la gestione del territorio non può ignorare queste correlazioni.

In questo quadro dobbiamo anche inserire l’elemento dell’inquinamento dell’aria: ogni anno ci sono circa 80.000 morti attribuibili all’inquinamento atmosferico in Italia, principalmente legato a particolato PM 2.5 e biossido di azoto (NO2). Questi sono legati alla produzione agroindustriale (specialmente allevamenti intensivi) e dalla combustione, sia industriale che legata alla mobilità.

Dentro questo quadro è già stata fatta notare una correlazione, da definire in termini di relazione e ancora oggetto di studio, ma senza dubbio esistente, tra la mortalità causata dal covid-19 e l’inquinamento atmosferico che interessa tutta la pianura Padana.

Fig2. A sinistra mappa degli sforamenti dei PM10 e a destra mappa della distribuzione dei focolai dal 4 al 6 marzo (https://www.actu-environnement.com/media/pdf/news-35178-covid-19.pdf)

Nella nostra Regione quindi troviamo una serie di fattori che fanno sì che il consumo di suolo, il sistema produttivo e il sistema di mobilità aggravino in maniera gravissima gli effetti del cambiamento climatico, creando un circolo vizioso che colpisce la salute e l’economia delle persone che vivono nel nostro territorio, oltre che causare devastazione ambientali e tragedie.

Uno degli esempi di questa situazione è proprio quello del Polo Logistico che stanno cercando di costruire a Casale sul Sile. Si tratta di una superficie totale di 502.219 metri quadrati, ovvero più di 50 ettari, che al momento sono coltivati. La posizione è molto vicina al fiume Sile, il che presenta una reale pericolosità idraulica.

Come vedete, il progetto di polo logistico si posiziona proprio in mezzo ad altre due aree industriali, andando quindi a soffocare totalmente quell’area, creando appunto quel processo di impermeabilizzazione di cui si parlava prima. Andiamo però ad analizzare come si è andato a definire un progetto del genere in una posizione simile. Il PUA (Piano Urbanistico Attutivo) “Parco Tematico” viene approvato dalla Giunta Comunale, senza il coinvolgimento della popolazione e col parere contrario del responsabile del servizio. Per il comune di Casale sul Sile, la legge regionale 14/2017 per il “Contenimento del consumo di suolo” ha previsto una superficie massima consumabile, da oggi al 2050, pari a 87mila metri quadrati. Questo unico intervento da 500mila metri quadrati supererebbe quindi di circa sei volte questo limite.

Ma allora come mai portare avanti con così tanta convinzione un progetto così impattante? Una delle risposte sicuramente si può trovare in quello che viene chiamata “perequazione”, ovvero la tecnica urbanistica che serve per dare un valore edificatorio comune a zone differenti, ovvero che gli attori interessati alla costruzione del polo hanno messo sul tavolo una grossa cifra come oneri che sono disposti a pagare al comune. Questo ovviamente significa praticamente un ricatto, per un Comune di piccole dimensioni: “se ci lasci fare quello che vogliamo, noi ti diamo X milioni di euro”. Dentro questo calcolo però vanno inserite le riflessioni che facevamo rispetto all’aggressività climatica: i costi di un territorio il cui sviluppo urbanistico e produttivo abbia causato una forte impermeabilizzazione, subiscono dei danni molto forti e di lungo termine, con ricadute dirette sulla salute e sull’economia dell’area. Vediamone un aspetto.

Prendendo in esame il tema della viabilità, si stima che, se fossero davvero Amazon o Zalando o altri colossi della logistica ad insediarsi, potrebbero arrivare a circolare più di 1300 mezzi all’ora di punta, ogni giorno, di cui la metà sarebbero camion; questi andrebbero aggiunti agli ulteriori movimenti di una nota azienda logistica che già opera a poca distanza e che negli anni, pur avendo già a disposizione nelle immediate vicinanze un collegamento con il grande svincolo autostradale Venezia Est a ridosso del Passante, sembrerebbe aver comunque sempre preferito transitare attraverso il centro cittadino per gli spostamenti verso nord, evitando ulteriori costi di pedaggio e causando diverso traffico anche lungo le strade dei comuni limitrofi, in particolare le frazioni di Sant’Elena e Cendon nel Comune di Silea, territori di passaggio verso il casello dell’A27.

Fig.3 Flusso mezzi, riferito al periodo di punta dei camion (17:30/18:30). I Veicoli attratti sono i veicoli che arrivano, mentre i generati quelli che partono dal polo logistico.

Dentro questo quadro, i danni portati a livello di carenza di servizi ecosistemici (quelle funzioni che un suolo vivo garantisce, come regolazione del ciclo idrologico, dei nutrienti, del microclima, miglioramento della qualità dell’aria, riduzione dell’erosione) saranno molto maggiori dei “benefici” di un polo logistico di queste dimensioni.

A questo si aggiunge l’elemento del lavoro. Il modello produttivo del just-in-time, portato avanti dai possibili nuovi ospiti del polo logistico, si basa su un’organizzazione del lavoro insostenibile per le persone. Come succede nei magazzini Amazon, che ha mostrato interesse per l’area, i lavoratori vengono continuamente misurati, controllati e infine valutati a seconda dei pacchi giornalieri che riescono a spedire. Non rispettare i target dell’azienda è motivo di continui richiami dei superiori, di non rinnovo dei contratti, di elevato stress psicologico. Per contro, rispettare i target dell’azienda porta a un veloce deperimento fisico. A questo si aggiunge il mobbing perpetuato dall’azienda verso quei lavoratori che scelgono di esercitare i loro diritti iscrivendosi al sindacato.

L’idea di programmazione del territorio che sottende al polo logistico è sempre la stessa: rinunciare a un’idea complessiva del territorio, costruita attraverso la partecipazione dei cittadini, a favore di un mega intervento singolo, che accetta di incassare oneri di urbanizzazione oggi per distruggere il futuro domani.

Come dimostrano vari studi, è necessario richiedere un altro modello di progettazione e gestione del territorio, democratico e partecipativo. All’interno della gestione del territorio, non valutare non solo in maniera seria l’impatto ambientale dei sistemi produttivi che si mettono in atto, ma anche l’interazione tra la situazione ambientale del nostro territorio, gli effetti delle attività che si andrà a svolgere ed i cambiamenti climatici, con i fenomeni atmosferici estremi che ne conseguono.

Ormai si tratta di questioni di vita o di morte andare a costruire un sistema di produzione e di gestione dei nostri territori che sia radicalmente diverso, che coinvolga direttamente le persone che vivono quelle aree e che garantisca un futuro alle future generazioni: ambientalmente, socialmente ed economicamente.

 

Note

  1. https://www.eea.europa.eu/it/pressroom/newsreleases/molti-cittadini-europei-sono-ancora/morti-premature-attribuibili-allinquinamento-atmosferico
  2. https://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/statoambiente/tematiche2011/03_Qualita_dellaria_2011.pdf
  3. https://www.actu-environnement.com/media/pdf/news-35178-covid-19.pdf
  4. Documento sul consumo del suolo di Legambiente Piavenire (https://drive.google.com/file/d/1-k46ZRCysJmIQvhi9wSY6H052s_GXtmL/view)