di Donata Albiero* – Abbiamo sentito pronunciare spesso l’ espressione “Cambio di paradigma”.
La si ascolta immaginando qualcosa di diverso da quanto stiamo vivendo, facendo. Ma cosa? Trovarsi i Pfas nell’acqua potabile o una ciminiera a pochi passi da casa annulla ogni possibile azione di prevenzione prescritta dal tuo medico. A nulla varrà, seguire una dieta corretta, fare sport, non fumare ecc. Ti accorgi allora che l’atto medico, necessariamente, deve contemplare fattori ambientali che però non dipendono dalle tue scelte. E in effetti sai che non sono i medici, né tanto meno i cittadini che abitano nella zona, a valutare l’opportunità o meno di costruire un inceneritore in un determinato posto o a controllare le scorie emesse da una fabbrica.
La società ha costruito una serie di strutture, separate tra loro, prive di una connessione logica e di fini comuni, in assenza di saperi e di interessi condivisi. Ognuna di queste strutture non comunica né confronta il proprio pensiero con quello delle altre; decide, in maniera autonoma e il più delle volte contraddittoria, in merito all’opportunità o meno di realizzare una determinata opera o di controllarne il funzionamento. Ti accorgi allora che l’organizzazione sociale del luogo in cui vivi costruisce modernissimi ospedali per curarti il cancro ma non fa nulla per prevenirlo. Se poi l’ospedale, come progressivamente sta avvenendo nel nostro paese, diventa una clinica privata, allora l’efficienza della clinica è data dal numero sempre maggiore dei casi trattati e dalla eccelsa bravura dei suoi medici. La cura del cancro diventa così solo il mezzo per raggiungere il vero fine dell’azienda, il profitto.
Cambiare paradigma significa uscire da tale realtà schizofrenica e dare un senso compiuto alla società in cui viviamo creando una connessione tra noi, gli altri e l’ambiente di cui tutti facciamo parte.
È evidente che la specializzazione e la frammentazione dei saperi mutila gli umani impedendo loro di avere una visione complessiva della propria esistenza. Di fatto, quello che ci propone la logica capitalistica è la società dell’alveare. Ogni membro della comunità vive per esercitare la mansione che gli viene assegnata, e magari lo fa molto bene, ma non sa perché lo fa né perché bisogna farlo. In realtà non è lui che decide per la propria vita. Ciò in definitiva lo rende puro strumento di un disegno a lui estraneo, molto più simile ad un automa che ad un essere umano. E noi non siamo api e non vogliamo diventarlo anche se ciò ci consentisse di produrre il miele più dolce del mondo.
Il nostro compito, pertanto, non sarà solo spiegare i meccanismi con cui i Pfas interrompono le gravidanze e provocano aborti continui, per dirne una, ma dare un senso ECOLOGICO alla nostra esistenza.
Dovremo connetterci con gli altri per diventare un soggetto dinamico collettivo, capace di allargare il proprio orizzonte culturale ed emotivo all’infinito e di effettuare scelte autonome e non condizionate che siano espressione di una mente aperta e allargata. Ovvero comprendere il significato filosofico di “ONE HEALTH”, il carattere unitario della vita sul nostro pianeta dove la salute degli umani non può prescindere da quella dell’ambiente in cui viviamo.
Di qui il titolo dato al nostro progetto educativo sui Pfas per l’a s 2022 2023 “ONE HEALTH. SALUTE E PRATICHE DI CITTADINANZA ATTIVA NELLA TERRA DEI PFAS”. La nostra equipe (esperti e attivisti del movimento No Pfas del Veneto) si confronterà con i ragazzi sul concetto di SALUTE come valore assoluto. Alla base del nostro intervento c’è il rispetto per tutti gli esseri umani e per tutti gli esseri viventi e un principio di PREVENZIONE che travalica la soglia degli studi medici, ponendo domande inevitabili al senso di una civiltà basata sul consumo e sul profitto.
Svegliamoci!
*coordinatrice gruppo educativo Zero Pfas del Veneto