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In Trentino come in Val di Susa. Resistere al Tav è una pratica normale

di Francesca Manzini – NO TAV: come in Val di Susa è scritto ovunque qui in Trentino. Non c’è posto dove non lo si trovi, su qualsiasi spazio bianco, cartello: è comparso addirittura a ridosso di un fianco roccioso affacciato all’appezzamento di terreno diventato il presidio permanente di Acquaviva resistente.
Può apparire curiosa la dedizione all’utilizzo di un unico slogan per ribadire la contrarietà ad un progetto che nel tempo ha cambiato nome e che oggi viene definito “Treno ad Alta Capacità”.  L’ostinazione delle comunità in lotta ad indicarlo ancora con il nome originario, (ovvero Treno ad Alta Velocità) si spiega col fatto che nulla è cambiato se non questo perché, indipendentemente da come lo si chiami, resta un’opera inutile, colossale, dai costi e dalle conseguenze insostenibili, destinata a cambiare in maniera irreversibile la configurazione del paesaggio, l’utilizzo del territorio e l’intera esistenza di chi queste valli le vive.
Dev’essere stato questo che hanno pensato le decine di uomini e donne, più e meno giovani, quando all’alba di un mercoledì di fine ottobre a Novaline di Mattarello, località alle porte di Trento, hanno bloccato una trivella portata di nascosto la sera prima con tanto di scorta di celerini. Chi fisicamente sopra la trivella, chi ai suoi piedi, chi all’entrata del cantiere. Non importa come e dove: l’importante è che per un’intera giornata e senza sosta la presenza costante dei No Tav ha fatto sì che nemmeno un centimetro di terreno fosse destinato all’analisi geognostica propedeutica alla costruzione dell’opera.
Scenari che si ripetono, quando dopo i tre giorni e tre notti di presidio-blocco di un’altra trivella dell’ottobre 2014 a Marco di Rovereto, fu stabilito che qualsiasi lavoro preliminare alla nuova linea ferroviaria avrebbe trovato una ferma opposizione. A distanza di un anno, i No Tav hanno dato prova di essere donne e uomini di parola. E’ evidente come la strada del movimento si stia incrociando sempre di più con quella delle mobilitazioni in Val di Susa e i comitati trentini hanno dato prova di esserne all’altezza. Un movimento del tutto variegato e per niente omogeneo dove si incontrano le realtà più diverse: attivisti militanti con anni di lotte alle spalle di fianco a comuni mamme, nonne e nonni, abitanti delle valli più tranquille, le cui vite sono state scosse, minacciate dal pericolo della costruzione di un mostro di ferro e cemento e di fronte al quale hanno agito nella maniera più spontanea: coalizzandosi, unendo le proprie forze, e dando vita a comitati sparsi sul territorio.

Essere “indiani della valle” non è nulla di straordinario. Non ci sono elementi per i quali i No Tav possano definirsi dei supereroi. Cosa c’è di più normale del rifiuto di vedersi occupare, distruggere, cementificare, avvelenare il proprio territorio, territorio di tutti, in nome di un falso progresso, calato dall’alto e utile esclusivamente agli interessi di speculatori e devastatori ambientali? Cosa c’è di straordinario nel lottare contro una linea che viene definita all’avanguardia, nonostante il progetto in questione risalga ad oltre quindici anni fa e che addirittura l’Unione Europea rifiuta di considerare prioritario? Quella stessa UE della quale la Provincia Autonoma di Trento si è a lungo fatta scudo nel tentativo di convincere i cittadini che fosse assurdo e inutile opporsi al Tav, perché “Ce lo chiede l’Europa e lo fa in nome del progresso di tutti”. Ma non questa volta. Non è questa la volta in cui ci si trova a lottare contro un qualcosa di lontano, fantomatico, quasi immaginario. Il “nemico” non si trova a Bruxelles: è qui, a pochi passi da casa nostra: in quel palazzo nei pressi della stazione dove decisioni viscide come questa vengono prese senza minimamente consultare la popolazione, militarizzando senza alcun preavviso interi paesi.

La resistenza sopra e attorno alla trivella di mercoledì scorso costerà a numerosi attivisti e attiviste denunce per occupazione e danneggiamento, e questo dimostra che stiamo davvero vivendo in un mondo alla rovescia perché tali provvedimenti colpiranno proprio chi occupazioni e danneggiamenti (di tutt’altra grandezza però!) voleva impedirli a tutti i costi, senza spaventarsi dinnanzi alla prospettiva di stare dieci ore aggrappato ad una trivella, senza cibo nè acqua e pure sotto la pioggia!

La normale lotta è solo all’inizio.
Fermare il TAV è possibile. Fermarlo tocca a noi.