L’Eni e la falsa conversione green: cambiare tutto per non cambiare nulla

La battaglia dei movimenti contro i cambiamenti climatici in Italia, ha una lunga storia che risale ancor prima del 1991. Pensiamo solo ai  cinque Referendum abrogativi del 1987 che decretarono la chiusura  delle Centrali Nucleari. Da allora è stato un susseguirsi di botta e risposta a distanza con le multinazionali dell’energia, Eni in testa.

L’aumento di quasi un grado della temperatura media terrestre è il frutto amaro delle scelte energetiche del capitalismo estrattivo mondiale in primis, poi degli scellerati piani nazionali che hanno visto il nucleare al centro di una escalation della privatizzazione di ogni fonte energetica: nera, blu e più recentemente, verde. La desertificazione ne è l’effetto/causa più evidente; con questo non intendiamo solo il processo di inaridimento della terra già grave di suo, anche e soprattutto l’avanzare del cemento a fronte del progressivo arretramento della Foresta in quanto luogo ospite del Vivente e della biodiversità. Retrocessione che crediamo essere la causa primaria della diffusione del Covid19, emersa dalle discrasie e dalle alterazioni immunologiche nella terra di mezzo.

In Italia, la una lunga battuta d’arresto accusata dal nucleare  (ricordiamo i decreti legge dormienti  del governo Berlusconi, sul nucleare e acqua, pronti ad essere risvegliati)  aveva come riscontro l’aumento enorme della quota fossile, dove carbone e petrolio la fanno da padrone. Da una parte Eni, multinazionale del petrolio e derivati, 5° nella graduatoria dei colossi del fossile. Dall’altra Enel che in patria propugna il carbone come propellente nelle centrali elettriche mentre all’estero, dalla fine dagli anni 90 a tutt’oggi costituisce joint venture per la realizzazione di centrali all’uranio, visto la grande esperienza acquisita.

Tema questo dell’atomo che non ha mai smesso di essere al centro degli interessi del profitto: principale tra le fonti energetiche in Europa e nel mondo non ha smesso di far discutere anche nel nostro Paese e non solo per la recentissima questione dell’assegnazione dei siti di stoccaggio del materiale radioattivo, ben 73 garage in 5 regioni italiane. Anche ed innanzitutto per il danno, oltre la beffa, che ci viene continuamente sventolata in bolletta elettrica da diversi anni, tassa sul nucleare attentamente occultata.

Una delle iniziative che la RETE PER IL CLIMA, FUORI DAL FOSSILE intende promuovere è una campagna per la cancellazione di questa  voce occulta, mistificatoria, provocatoria. Banchetti e punti di raccolta delle firme verranno allestiti in tutta Italia in sintonia con le passate manifestazioni della Rete volte a far comprendere a tutti, le evidenti fratture che questo modo di produzione nero frappone tra se e il regno del vivente che respira e che si muove a due, quattro o mille piedi.

La Rete chiede appunto di uscire dal fossile, di riconvertire la  produzione nera in quella verde, apportando e approntando soluzioni compatibili con l’ambiente e alla portata di tutti, disponibile e senza alcun vincolo di proprietà perché gli elementi della natura sono un Bene Comune.

Milioni di persone la pensano in questo modo e adottano comportamenti adeguati, pensiamo alla moltitudine di giovani e giovanissimi del Fridays For Future fin alle imponenti manifestazione che si sono viste in tutte le piazze del mondo contro i cambiamenti climatici, passando per Climate Camp di Venezia, speciale appuntamento di lotta e discussione per migliaia di persone di tutta Europa.

Viceversa il capitalismo non può prescindere dalla proprietà privata  attraverso la quale intende “naturalizzare” il tempo e lo spazio e tutto ciò su cui posare lo sguardo per estrarre profitto. Dunque a partire da questo postulato la “filosofia verde” diventa meta lontana, remota se non addirittura incompatibile. Ma per essere sostenibile basta lavare i panni sporchi di nero e con il green washing la filosofia diventa blu. Un gioco di prestigio per rimanere padroni del vapore e che vale la pioggia di miliardi promessi dal Green Deal europei, cioe i fondi per lo sviluppo eco-sostenibile. E dunque si parla di idrogeno blu o “ricompensato” estratto dal gas capace però di alludere e illudere coloro  che intendono ancora una volta delegare salute, cura e beni comuni.

Questo accade in Europa dove il “nucleare” rimane ben saldo in sella nella rincorsa alla ricerca della autonomia energetica. Da noi Eni con una strategia raffinata intende realizzare un progetto mastodontico allo scopo di riqualificare la propria posizione sul mercato rimescolando le carte, scompigliando il tavolo energetico: parliamo dei CCS. Nuova e alettante tecnologia capace di catturare il CO2 e ingabbiarlo in un sito di stoccaggio, il più grande in Europa, una vera bomba ad orologeria alimentata da altre  innumerevoli bombe vaganti in giro su e giù per l’Italia cioè le autocisterne caricate a carbonio pressurizzato.

Si capisce l’enorme portata di questa tecnica se rapportata  a tutta l’industria estrattiva, trasformativa e trasformativa intenzionale (vedi inceneritori) che, adottando questo meccanismo avrà un valido alibi per continuare a produrre con energia fossile anche di grande impatto ambientale. Un moderno vaso di Pandora capace di contenere tutti i  mali antichi  del capitalismo sul quale riversare tutta la “curiosità” di ingenti capitali. Vista nel suo complesso appare oltre che, dinamica immanente dello sviluppo delle forze produttive anche risposta politico-ideologica ai movimenti per il clima.

Non possiamo che leggere l’intera questione sotto la luce del materialismo storico, capire  gli intrecci diretti con le lotte dei movimenti per la giustizia climatica.  Il panorama che si sta delineando è davvero impressionante e paurosamente catastrofico alla faccia di tutti gli accordi farsa mondiali volti ad impedire il surriscaldamento globale. Questo è ciò che il capitalismo estrattivista chiama già oggi Green new deal.