Se la maggioranza dei comitati afferenti al Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua (FIMA) avesse sostenuto e praticato l’Obbedienza civile -vale la dire l’autoriduzione delle bollette dell’acqua della componente tariffaria di profitto cancellata dai referendum del 2011- in risposta alla protervia dei gestori che di quei referendum hanno fatto carta straccia, oggi, con molta probabilità, di fronte alla preoccupante crisi idrica che attanaglia il Bel paese, non sarebbe stata “costretta “ a stilare un comunicato che ripiega sulla richiesta di una diversa destinazione dell’utile realizzato dai gestori del servizio idrico integrato (s.i.i.).
Spieghiamo meglio.
Al dissesto idrogeologico, a un’agricoltura sempre più onnivora (di terra e di acqua), alla drammaticità del mutamento climatico, alla rarefazione e all’inquinamento delle falde acquifere si sono aggiunte, in questi anni, le sciagurate politiche estrattive dei gestori (pubblici e privati) del s.i.i., nonché i perversi effetti di un full cost recovery che scarica in tariffa l’onere di reperire gli ingenti capitali di cui necessita la gestione di un bene così prezioso come l’acqua.
Così, di fronte allo stato pietoso delle reti di approvvigionamento idriche, al calo pauroso degli investimenti nel settore, alle aggressive politiche di privatizzazione poste in essere dai governi che si sono succeduti alla guida del paese, fa a dir poco rabbia constatare che il grosso della ricchezza sottratta agli utenti del s.i.i., tramite tariffe sempre più esose, vada a ripagare solo in minima parte il costo reale del servizio reso (peraltro sempre più carente), mentre affluisce, copiosa, sotto forma di dividendi, nelle tasche di affaristi e azionisti e, alla meno peggio, in quelle di soci pubblici non meno avidi nel pretenderla, stante la sciagurata politica di tagli dei trasferimenti agli enti locali (ammonterebbero a più di 2 miliardi di euro i dividendi distribuiti tra il 2010 e il 2014 dalle quattro multiutility quotate in Borsa, IREN, A2A, ACEA, HERA). Per cui, a fronte dell’odierna emergenza idrica, può apparire a prima vista ragionevole la richiesta del FIMA di approntare, in tempi brevi, anche attraverso lo strumento della decretazione d’urgenza, misure che contemplino (tra l’altro) “la destinazione degli utili delle aziende che gestiscono il servizio idrico alla ristrutturazione delle reti idriche, sulla base del Piano nazionale ad esso dedicato”.
Niente di più lontano dall’obiettivo dei referendum del 2011, viene tuttavia da osservare: ventisette milioni di italiani sancirono, col loro vittorioso “SI” all’abrogazione del criterio dell’adeguata remunerazione del capitale investito, la fuoriuscita di acqua e servizi pubblici locali dalle logiche di mercato e di profitto! Negarono, cioè, legittimità al profitto, consci che è la persistenza di un utile garantito in tariffa ad attrarre il privato e a generare attorno alla gestione dell’acqua quel coacervo di interessi così duro da smantellare (come in effetti è stato).
Come è andata lo sappiamo. A sei anni di distanza da quella straordinaria prova di democrazia, con un profitto ancora in bolletta e con processi di ripubblicizzazione ancora tutti da costruire, l’ambigua richiesta del FIMA ha il sapore amaro dell’ammissione di una sconfitta. La sconfitta di un movimento che di fronte alla prevedibile, arrogante reazione di governi e poteri forti non ha saputo (o voluto), concretamente, sostenere fino in fondo le scelte referendarie, come l’abbandono dell’Obbedienza civile, prima richiamata, sta a dimostrare. D’altra parte, anche qualora l’utile d’impresa fosse destinato integralmente all’investimento, si dimentica che su quell’utile grava un’imposta che il gestore carica in tariffa (oneri fiscali) e ciò non sembra un grande vantaggio per l’utente. Anche per questo la versione aggiornata all’esito referendario della legge di iniziativa popolare sull’acqua (LIP), ripresentata in Parlamento nel marzo del 2014, individuava (art.8) nella fiscalità generale la principale leva di finanziamento del settore idrico. E nell’azienda speciale di diritto pubblico, senza scopo di lucro, la forma gestionale più coerente con il dettato referendario.
Per concludere.
Il problema è che servirebbero governanti che riconoscano il valore dell’acqua e che si sentano responsabili di tradurre in realtà il diritto umano a disporne in misura sufficiente per una vita dignitosa. Ma così non è.
Se l’odierna emergenza idrica è anche figlia della fallimentare persistenza di un modello di gestione mercantile e liberista per il quale l’acqua è pari a qualsiasi altra merce, è questo sistema che bisogna finalmente spazzare via! E’ contro la vergognosa disapplicazione dell’esito referendario che bisogna alzare la voce; la decretazione d’urgenza va chiesta, anzi, pretesa, al fine di sottrarre l’acqua al mercato, non per un diverso utilizzo degli utili!
E le pretese si sostengono con la lotta, come l’autoriduzione o, domani, lo sciopero della bolletta insegnano.
Alessandro Punzo